Ordinazione Presbiterale di Don Pasquale De Simone – OMELIA

SOLENNITÀ DI CRISTO RE 2019
ORDINAZIONE PRESBITERALE
di
Pasquale De Simone

OMELIA

Carissimi,

è bello ritrovarsi tutti qui, religiosi, laici e presbiteri intorno a questa mensa eucaristica, per rendere grazie al Signore, Re dell’universo e Signore della storia, per il grande dono del sacerdozio che oggi viene offerto alla nostra Chiesa, nella persona di un giovane, Pasquale de Simone, a cui tutti siamo legati.

Dopo un percorso ricco di momenti belli e delicati, sono qui, come pastore della nostra Comunità Diocesana, con fiducia e speranza, a vivere questo momento generativo, con cui riprende slancio e futuro il nostro stesso cammino di Chiesa.

Mi consentirete di rivolgermi a lui, certo che comprenderete come ogni cosa valga al tempo stesso per ciascuno di noi.
Del resto essere sacerdoti non ci colloca fuori dal mondo o dal popolo che ci ha generato ma dentro.

Il battesimo, infatti, è la dimensione vitale di ogni nostra scelta credente e il sacerdozio regale di Cristo avvolge e nutre la vita di tutti noi, assumendo la forma di un vero e proprio ministero nella vita consacrata di un presbitero.

Pasquale, dunque, è chiamato a dare testimonianza del suo amore a Cristo e ai fratelli in ragione della vita nuova, scaturita in lui nel battesimo e allo stesso tempo, consacrato nel ministero sacerdotale è chiamato a vivere da fratello, padre e pastore del popolo, da cui e per cui è stato chiamato, diversi anni fa.

Car Pasquale, oggi la nostra gioia è la tua , e la tua nutre la nostra. Con fiducia e impegno ti sei cimentato in un cammino, che non finisce oggi ma prosegue per santificare la tua vita e quella di coloro che ti saranno affidate nel tuo percorso ministeriale.

La parola ascoltata ci viene incontro e ci aiuta, in questa bella solennità, a focalizzare quanto ci sia di vitale per il tuo ministero sacerdotale, in cui non sarà importante ciò che farai, realizzerai, ma il modo con cui ti porrai, come tu sarai tra la gente.

Nella prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, ci viene descritto uno degli avvenimenti fondamentali della storia ebraica, e cioè il riconoscimento e l’unzione di Davide come re di tutto Israele. Il valore che deve guidare il re prescelto nei confronti di Dio, della legge e del popolo è il “servizio. In questo, la regalità di Davide preannuncia quella di Cristo che fondata non sul potere ma solo sul servizio, una regalità di ordine divino e non terrena, con tutti i limiti e le colpevolezze dell’uomo. Una regalità che salva e si realizza nella misura in cui allontana dal cuore dell’uomo il male e il peccato.

Nella seconda lettura, è Paolo che ci aiuta a penetrare il senso della solennità di oggi. Scrivendo ai Colossesi, egli sottolinea con forza come grazie a Dio Padre “siamo stati resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce”, poiché mediante Cristo, morto e risorto, ci ha liberati dal peccato e dal suo potere e ci ha trasferiti “nel regno del suo amore”.

Cristo è Re ma di un regno visto in antitesi con il “potere delle tenebre”, cioè il regno di satana, che soggioga gli uomini e li rende schiavi.

Questo regno d’amore trova spazio nella Chiesa, di cui Cristo è capo, segnando una sovranità risplendente di santità e di grazia. Cristo risuscitato dal Padre acquista un primato universale, riempiendo di sé l’universo, pervadendo della sua presenza le cose che ha creato.
Il vangelo, infine, ci consegna nell’immagine di Gesù sulla croce tra i due malfattori con sullo sfondo il popolo, il tema della regalità di Cristo con i suoi aspetti contrastanti:
per un verso, infatti, attira prepotentemente gli uomini; per un altro sembra allontanarli da lui.

Varie sono le ragioni che animano i vari personaggi del brano che sembrano delusi e mortificati da un comportamento, quello di Gesù, che non ha niente di regale e sembra essere quello di un impostore.
A questo si contrappone il ladrone che aprendo gli occhi e il cuore su Colui che gli pendeva accanto, gli rivolge una preghiera e riconoscendolo come Re dice: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.

Da questo quadro mi sembra che la Liturgia ci offra tre atteggiamenti:
il servire, il donare la vita, l’offrire salvezza.

Come ministro di Dio e discepolo del Signore sei chiamato ad incarnare una vita che assuma pienamente la logica del SERVIZIO, sapendo vivere con umiltà e disponibilità. Questo tratto distintivo del Maestro performi la tua esistenza di pastore a favore del gregge ovunque tu sia e in qualsiasi posto tu sia chiamato a vivere. Un presbitero che accetti, come il Maestro, di essere il servo di tutti è garanzia di vita per la comunità.

Il brano della crocefissione mostra con chiarezza che cosa sia in definitiva il SERVIZIO. Esso si traduce, in parole povere, nel DARE LA VITA.
Come Cristo, anche noi siamo chiamati a dare la vita per i nostri fratelli. Non siamo chiamati a proteggerla, arricchirla di potere o accarezzarla con le seduzioni del mondo.
DARE LA VITA, spenderla ogni giorno senza riserve, è la forma più autentica del servizio, che in fondo è sempre una forma di morte ai propri desideri di potere.
Lo hai ascoltato anche tu, Gesù sulla croce non voluto salvare se stesso con un gesto grandioso, con l’imposizione della sua potenza, e proprio per questo ha potuto salvare gli altri.

Ecco allora la terza parola: DONARE SALVEZZA.
Il discepolo che agisce portando con sé il cuore di Cristo, opera nella potenza di Dio che è amore, un amore che libera, un amore forte che apre alla speranza, un amore capace di mettersi in gioco con coraggio.
La salvezza è fiducia, abbandono; è dono di sé, amore; è conoscere il rischio che dà forma alla vita e la rende generativa. Sperimentare la salvezza è imparare ad ospitare la vita in tutte le sue forme.
Essere presbitero così mette le ali alla vita della gente che incontriamo e fa loro sperimentare le vette di Dio, le sottrae alla mediocrità, restituendo a ciascuno dignità e forza.

Sia questo per te un itinerario da vivere con fiducia e pace, quella pace che nasce dall’avbbandono in Dio che gesù stesso ci ha insegnato nella notte del getsemani e dall’alto della croce, suo trono regale, ma anche da uomini santi che hanno posto la radice del vivere in Dio come Charles De Focauld, che tu hai conosciuto e amato in questi ultimi anni e che pregava così:

Padre mio,
io mi abbandono a te:
fa’ di me ciò che ti piace!
Qualunque cosa tu faccia di me,
ti ringrazio.
Sono pronto a tutto,
accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature.
Non desidero niente altro, mio Dio.
Rimetto la mia anima
nelle tue mani,
te la dono, mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore,
perché ti amo.
Ed è per me un’esigenza d’amore
il donarmi,
il rimettermi nelle tue mani
senza misura,
con una confidenza infinita,
poiché tu sei il Padre mio.

AMEN

Auguri Pasquale e buona vita, ti vogliamo bene.

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