Codex purpureus rossanensis, Il ritratto di Marco è l’unica figura di evangelista rimasta in un codice greco dei Vangeli, anteriore al X secolo, come fece notare il paleografo Guglielmo Cavallo (G.Cavallo, Codex Purpureus Rossanensis, Padova, 1992, p. 31). L’evangelista, seduto, si protende in avanti con lo sguardo fisso sulla mano destra che si posa su un largo rotolo aperto sulle ginocchia, che riporta il titolo del suo Vangelo: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio”. Davanti a lui una figura femminile avvolta in una veste azzurra, probabilmente Sophia (la Sapienza) sembra dettargli ciò che deve scrivere. Le sue lunghe dita infatti sono puntate verso la mano destra di quest’ultimo.
Sabato 12 giugno 2021. Ingresso del nuovo Vescovo nell’arcidiocesi di Rossano Cariati
(Letture della domenica 13 giugno: Ez 17,22-24; Sal 91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34)
- Saluto e glorificazione trinitaria.
Eccellenze reverendissime; carissimo mons. Giuseppe Satriano, che per sei anni hai servito nell’amore il cammino di Chiesa di questa bella realtà arcidiocesana; carissimi presbiteri, diaconi e seminaristi; carissime persone di vita consacrata; sorelle e fratelli carissimi…carissime autorità civili e militari. Si sta concludendo il giorno della festa del cuore Immacolato di Maria, per aprirci al giorno della memoria liturgica del dottore della Chiesa sant’Antonio di Padova. Nella cerniera tra questi due eventi liturgici, con le Letture della domenica undicesima del Tempo ordinario, s’incastona questo giorno solenne della festa di nozze tra il nuovo Pastore e la sua Chiesa particolare di Rossano-Cariati: «Esulterà il mio cuore nella tua salvezza,/ canterò al Signore,/ che mi ha beneficato» (Sal 12, 6). Con le medesime parole esultanti del Salmista, utilizzate nell’Antifona della Memoria del cuore Immacolato di Maria, saluto oggi te, santa Chiesa di Dio che è in Rossano-Cariati, Sposa che mi è stata preparata dal Padre per questo tempo opportuno di nuova seminagione del Vangelo della misericordia, del perdono e della prossimità. Io ti amo, Chiesa di Rossano-Cariati, imitando Giuseppe il giusto, che i Vangeli ci presentano come amministratore dei misteri di Dio, come sovrintendente e custode del santuario, che è la sua sposa-Maria e del Logos che è in lei! Davvero sia san Giuseppe per me l’immagine ideale del Vescovo, uomo sacro a cui oggi viene affidata questa sposa di Rossano-Cariati: ella non è a mia disposizione, ma sono io a completa, totale, generosa e fedele disposizione di te, mia santa Chiesa! Io ti amo, o mia Chiesa particolare, imitando, per quanto mi è possibile, la stessa intensità affettiva con cui ti ama il cuore Immacolato di Maria, donna che custodiva la parola di Dio, meditandola nel suo cuore (Cfr. Lc 2,19). Ti chiedo oggi, in questa festa di nozze dell’Agnello della Pasqua eterna, o mia Chiesa-Sposa, di ricambiarmi il tuo amore gioioso, accompagnato dalla preghiera allo Spirito Santo perché ispiri questa mia prima Omelia episcopale in quest’amato territorio diocesano. Amate il vostro Pastore, sorelle e fratelli carissimi della Chiesa di Rossano-Cariati: presbiteri, diaconi, seminaristi, consacrati, fedeli cristiani laici! Amatemi con lo stesso ardore che infiammava il cuore di sant’Antonio di Padova, tanto venerato nella chiesa di Terranova da Sibari, fondata nel 1542 dai Minori Osservanti col titolo, a me molto caro, di Santa Maria delle Grazie! Amiamo, a nostra volta, con cuore sincero, da Terranova a Terravecchia, tutti coloro che, non potendo essere qui presenti per l’uno o per l’altro motivo, ci sentono e ci vedono da remoto, e attendono comunque da noi dei segni efficaci e concreti di amore, prossimità, affetto, solidarietà agapica, tenerezza. Insieme esaltiamo tutti e glorifichiamo la santissima Trinità: la comune preghiera, intesa come ascesa spirituale e mistica a Dio Uno e Trino, magnifichi Dio Uno e Trino come il suo unico Pastore! Esorto perciò voi, ascoltatori e fedeli tutti, a pregare con me, per ottenermi, sotto lo scudo della Beata Vergine Maria, l’aiuto speciale della Grazia divina, a cui chiedo di assistermi nell’esortarvi alla giusta comprensione delle letture di oggi. Esse segneranno non soltanto la giornata odierna, ma l’intero cammino del mio servizio episcopale tra voi e per voi. Due brevi pensieri vi affido perciò, carissimi, ognuno collegato alle Letture oggi proclamate: (1) il primo pensiero riguarda la forza propulsiva della Parola di Dio, ribadita dall’oracolo di Ezechiele sul ramoscello di cedro (il quale metterà rami e farà frutti/ e diventerà un cedro magnifico), e ripresa nelle due parabole evangeliche del seme e del granello di senape; (2) il secondo pensiero ci apre tutti all’istanza escatologica, ovvero alle cose ultime della vita cristiana ed ecclesiale: Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo!
- Il seme gettato nel terreno.
Il significativo brano del vangelo secondo Marco, proclamato oggi, riprende l’oracolo di Ezechiele sulla crescita rigogliosa di un seme di cedro. Originario della Cina e India meridionale, il cedro è stato introdotto nell’area mediterranea molto prima dell’era cristiana ed era già coltivato anche nella Giudea, anzi è stato il primo agrume a essere coltivato in Israele, utilizzato in occasione della Festa dei Tabernacoli. Esso simboleggia l’albero della conoscenza, come nel racconto biblico delle origini. La bellissima immagine vegetale del profeta Ezechiele viene ripresa e rilanciata oggi dalle parabole evangeliche del piccolo seme e del granello di senape. Il granello di senape, piccolissimo come la punta di uno spillo, è caratterizzato da estrema piccolezza ma da grande dinamismo vitale, in quanto cresce e, quasi sfuggendo al controllo del contadino, raggiunge anche i tre metri di altezza: «Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami» (cfr. Mt. 13,32). Per questa forza vitale, il granello di senape, è simbolo del Regno di Dio, il cui dinamismo sfugge a ogni umano controllo. Del resto, le parabole del seme nel quarto capitolo del Vangelo di Marco hanno il compito di far “esplodere” davanti ai nostri cuori il senso del Regno di Dio. Dall’evangelista l’immagine agricola viene piegata a dire qualcosa che non è più semplicemente naturale: il mistero di una Chiesa, piccolo arbusto che diventa capace di accogliere tutti i popoli della terra! Grandiosa efficacia della narrazione di Marco! Tutto ciò non suscita immediatamente nel nostro cuore, carissimi, il ricordo del ritratto di Marco, l’unica figura di evangelista rimasta in un codice greco dei Vangeli, anteriore al X secolo, qual è appunto il nostro prezioso Codex purpureus rossanensis? Questa testimonianza emblematica della Rossano bizantina, insieme con l’icona molto venerata dell’Achiropita e con le chiesette bizantine di San Marco e della Panaghia, così come l’abbazia di Santa Mari del Patire, ci ricorda il dovere primario dell’evangelizzazione nuova, a cui siamo chiamati in questo nostro tempo di reset globale, di rinascita e rinnovamento dopo la buia stagione della pandemia, che ancora affligge il mondo. Dobbiamo diffondere il piccolo seme della Parola di Dio. Il Codex, quest’insigne evangeliario, ci ha comunque risparmiato la perdita del Vangelo di Matteo e di quasi tutto quello di Marco. Delle 14 miniature conservate nel codice, di cui dodici raffigurano eventi della vita di Cristo, l’ultima è, come tutti sappiamo, il ritratto di Marco, che occupa l’intera pagina. Alla miniatura di Marco voglio oggi con voi guardare particolarmente: l’evangelista viene raffigurato mentre scrive sul rotolo pergamenaceo il suo Vangelo, lasciandosi ispirare da una donna – presumibilmente la Sapienza stessa di Dio, ma perché non vedervi la Vergine Santa –, che gli indica i punti su cui indugiare. Indugiamo oggi sulla potenza del piccolo seme della Parola di Dio: animato dallo Spirito Santo, questo seme possiede in proprio il potere di fruttificare; ma domanda di essere annunciato e seminato da noi sul buon terreno. Facilitiamo la diffusione di questo seme di origine divina, carissimi, lasciamolo germogliare e crescere, seminandolo nelle intelligenze e nei cuori di tutti. Il terreno che lo accoglie produrrà spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto sarà maturo, subito il Coltivatore manderà la falce, perché è arrivata la mietitura. Potenza, primato e forza della Parola di Dio, anche indipendentemente dai suoi annunciatori, presbiteri, predicatori e catechisti! Mettiamoci volentieri al servizio di quest’annuncio, carissimi! Diventiamo una comunità generativa e feconda, diffondendo la Parola fatta carne in Gesù Cristo! Alcuni vorrebbero vedere nel Vangelo di Marco un itinerario di fede specifico per i catecumeni (coloro che ricevono l’insegnamento orale, che ascoltano dalla viva voce). Nelle nostre terre, anche i battezzati sono, talvolta, come dei catecumeni, in quanto devono da capo ricevere abbondantemente il seme della Parola di Dio. Come il Marco raffigurato nel nostro Codice, lasciamoci guidare dalla mano di Cristo, Sapienza incarnata. Cristo è la concretizzazione personale del Regno di Dio, la cui forza di attuazione è dirompente. Non vi sembra questa, carissimi, una chiarissima indicazione di percorso per la nostra Arcidiocesi? Non vorremo noi porre al primo posto la riscoperta del primato della Parola di Dio? Se adesso questo nostro mondo è ancora governato dalla potenza del denaro, dell’inganno e della forza (la potenza di Satana), ci viene oggi ricordato che si fa vicino un diverso momento, in cui Dio stesso prenderà nelle sue mani il potere. Si va instaurando la sovranità della Parola di Dio che significa giustizia, concordia, pace, pienezza di vita. Il regno di Dio è già presente nella persona di Gesù, nelle sue Parole: comunichiamolo alle folle e al mondo, a partire dai presbiteri e dai catechisti, fino all’ultimo dei fedeli: «Siete stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1,23). Perché la Parola produca frutto, carissimi, basta seminarla, assecondando il Vangelo sine glossa: tutto il resto viene da sé. Forse che il contadino, dopo la semina, si ferma nel campo per ricordare al seme che deve germogliare? Il seme non ha bisogno di lui, è autosufficiente: ha in sé tutto il necessario per crescere e diventare spiga matura. Oggi, sorelle e fratelli tutti, abbiamo ascoltato dall’evangelista Marco come tutta la grandezza del regno celeste è paragonata a un granello di senape. E come mai una similitudine così piccola, una similitudine così minima, anzi minima tra le minime, comprende un così grande potere? Questa è tutta la speranza dei credenti, questa è l’attesa più grande di noi fedeli. Questa è la felicità delle vergini, acquistata con le lunghe prove della castità. Questa è la gloria dei martiri, guadagnata con lo spargimento di tutto il sangue. Questo è ciò che occhio non vide né orecchio udì né mai entrò nel cuore di essere umano; questo è ciò che l’apostolo assicura che è stato preparato con un mistero ineffabile per coloro che amano: noi, sorelle e fratelli carissimi, ne siamo gli umili servitori!
- Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo. La seconda Lettera di Paolo ai cristiani di Corinto ci presenta oggi il chiaro annuncio del mondo che sta per venire. È l’annuncio del tempo delle cose ultime, che si manifesteranno per ciascuno di noi al momento del transito (credo la resurrezione dei morti) e, per tutti noi, al momento della resurrezione finale (e la vita del mondo che verrà). Pensiamo agli ultimi tempi, carissimi, proprio mentre viviamo nella contingenza e nel frattempo! Pensiamoci quando il dolore si fa più forte, quando le inimicizie, le vendette e i tradimenti ci abbattono, quando sembra che all’orizzonte non ci sia nulla di buono e di promettente… È un invito al senso della precarietà, ma anche della speranza in Dio; un appello a non crederci infiniti, eterni e onnipotenti. È una lezione che abbiamo ricevuto a lungo, in questi mesi, anche dal virus coronato e dai suoi deprecabili effetti nella vita di tanti, che ne sono stati colpiti e abbattuti; abbiamo imparato il significato della precarietà del nostro stare al mondo. Cosa ne deriva per la nostra esistenza quotidiana? Ascoltiamo tutti, a partire dai presbiteri, un’ammonizione di san Policarpo di Smirne: «Anche i presbiteri abbiano viscere di compassione e siano misericordiosi verso tutti, cercando di ricondurre gli sviati, visitando tutti gli infermi, senza trascurare né la vedova, né l’orfano, né il povero; ma sempre solleciti di fare il bene al cospetto di Dio e degli uomini; astenendosi da ogni ira, parzialità, giudizio ingiusto; stando lontani da ogni cupidigia di denaro; non troppo facili a prestare fede alle calunnie contro alcuno, né troppo severi nei giudizi, sapendo che tutti siamo debitori per i nostri peccati» (6, 1). Di qui un analogo appello dello stesso Policarpo a tutti i battezzati: «Se dunque noi preghiamo il Signore di perdonarci, dobbiamo anche noi perdonare; poiché siamo sotto gli occhi del Signore e di Dio e tutti dovremo presentarci al tribunale di Cristo e ciascuno dovrà rendere conto di sé. Serviamolo dunque con timore e con ogni riverenza, come ci fu comandato da Lui e dagli Apostoli, che ci predicarono il Vangelo, e dai profeti che ci preannunciarono la venuta del Signore nostro; siamo zelanti per il bene, evitando quelli che danno scandalo, i falsi fratelli e coloro che, portando ipocritamente il nome del Signore, trascinano nell’errore gli uomini vuoti» (6.2,3).
- Preghiera. O MARONNA E RA CARUPITA, TU M’AIUT E MI SCAVIT, E MI POZZ LIBERAR E TERREMOTI E PESTE E DE GUERRA… O Santa Vergine Achiropita, nostra Madre e Sorella dolcissima, poniamo oggi sotto il tuo rifugio e patrocinio tutti i presbiteri, i diaconi, le persone di vita consacrata, i fedeli laici e tutte le persone di buona volontà di questa Chiesa diocesana! O nostra Amata Patrona, concedi ai presbiteri di procedere sempre d’accordo con la mente del vescovo, come già fanno. Il vostro presbiterato, carissimi, ben reputato degno di Dio, sia molto unito al Vescovo come le corde alla cetra! O nostra Madre benedetta, concedi ai consacrati e ai laici unità e amore concorde, per cantare tutti al tuo Figlio Gesù Cristo: ciascuno diventi un coro, affinché nell’armonia del vostro accordo, prendendo nell’unità il tono di Dio, cantiamo ad una sola voce per Gesù Cristo al Padre, perché ci ascolti e ci riconosca, per le buone opere! Guidaci con la tua mano santa, o Madre, a scrivere nella nostra esistenza quanto la Parola di Dio vuole da noi! Ottienici, o Madre, di trovarci nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio e concedici di non ascoltare nessuno che non ci parli di Gesù Cristo nella verità, nell’amore e nella pace. Amen, Amen!