Carissimi e carissime,
è bello, e dona gioia al cuore, ritrovarsi come unica famiglia a vivere questa significativa liturgia. Abbiamo lasciato le nostre comunità parrocchiali per attestare, ancora una volta, il profondo desiderio di essere un cuor solo ed un anima sola.
Oggi il nostro convenire per celebrate diviene, in maniera tutta particolare, epifania della Chiesa, che si rivela come unico popolo sacerdotale, unto dal Signore per generare, mediante l’annunzio del Vangelo, quella vita nuova, piena e ricca di senso, lì dove il peccato, ha portato dolore, smarrimento, schiavitù e morte.
Unti in Cristo, consacrati in Lui, siamo popolo sacerdotale ed oggi è la nostra festa. Festa del cuore, che gioisce e ringrazia, per la comune vocazione a cui siamo chiamati nei nostri differenti stati di vita. Laici e religiosi, seminaristi e diaconi, presbiteri e vescovo, tutti rappresentiamo, in maniera viva, il sacerdozio di Cristo che risplende in quello donatoci nel sacramento del Battesimo e che ha trovato dilatazione e profondità nella consacrazione religiosa e nel sacramento dell’ordine, che oggi festeggiamo in maniera tutta particolare.
Il Vangelo proclamato ci conduce nella sinagoga di Nazareth dove Luca, con maestria di narratore, ci immerge in una tensione palpabile, una aspettativa che si dispiega come al rallentatore: Gesù “riavvolse il rotolo, lo riconsegnò e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui”.
Un gesto che fa seguito ad una lettura intensa del rotolo di Isaia, che viene sigillata dalle prime parole, poste in pubblico, da Gesù: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”, l’antica profezia si fa storia.
Gesù incarna in sé quanto profetizzato da Isaia e si pone nel solco dell’attesa messianica, rivelandosi come il consacrato di Dio, giunto in mezzo a noi per condurci a libertà: “Lo Spirito del Signore mi ha mandato ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, agli oppressi”.
È l’annuncio di un evento, atteso e sperato, ma che turba al tempo stesso. Gesù è venuto per togliere via dall’uomo tutto ciò che impedisce la sua capacità di generare vita. Egli è qui per chiarire a tutti che il regno di Dio è vita in pienezza, vita che porta gioia, che libera e dà luce, che rende la storia un luogo senza più disperati.
Quello che Gesù annuncia è la presenza di un Dio che si schiera, prende posizione, che sta dalla parte degli ultimi e mai con gli oppressori. Un Dio che viene come sorgente di vita nuova, fonte di vite segnate dalla libertà e mai causa di asservimenti.
Bella l’affermazione di un autore spirituale dello scorso secolo: “Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione” (G. Vannucci). Gesù non è venuto per riportare i lontani a Dio, ma per portare Dio ai lontani. Uomini e donne senza speranza, sono condotti a sperimentare le loro immense potenzialità di vita, di intelligenza, di amore.
È vero: il Vangelo non è mai moralista, ma creatore di uomini liberi, gioiosi, non più oppressi.
C’è una buona notizia nelle parole proclamate da Gesù. La notizia ricca di Vangelo è quella di un Dio che è per l’uomo. Dimentico di sé stesso, nella sua infinita misericordia, Egli accoglie le nostre miserie e vi costruisce sopra, mettendo la creatura al centro, ponendola come fine della storia.
Dio manifesta la sua potenza liberante contro tutto ciò che affligge e annienta la vita umana, imprigionandola, chiudendola e paralizzandola. Egli desidera che la vita di ciascuno diventi “altra” da quello che è, conducendo la storia, il mondo, alla sua redenzione.
Gesù, davanti a quella piccolissima comunità, presenta il suo sogno, il sogno di un mondo nuovo. Egli proclama parole di futuro, di speranza e ci insegna a vivere guardando all’uomo nel suo bisogno, nella sua povertà e stanchezza esistenziale. La lieta notizia del Vangelo non è l’offerta di una nuova morale, ma la forza con cui Dio, guardando all’uomo, non lo coglie nel suo peccato ma nel suo bisogno di vita.
Ieri nella sinagoga di Nazareth, oggi in questa chiesa Cattedrale siamo chiamati anche noi a rialzarci e a riprendere con fiducia il cammino verso il cuore della vita, della nostra umanità dando opportunità a Dio di manifestarsi nella sua gioia, nella sua libertà e pienezza.
Anche su di noi è scesa l’unzione dello Spirito così come abbiamo proclamato nell’orazione colletta, che ha aperto la nostra celebrazione: “O Padre, che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi, partecipi della sua consacrazione, di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza”.
Quell’unzione che abbiamo vissuto nel giorno del nostro Battessimo e confermato nella Cresima, ci rende partecipi della stessa consacrazione del Cristo e ci abilita ad essere suoi testimoni nel mondo, testimoni di una vita nuova.
Tutti siamo investiti dalla forza generativa del suo Amore e, nutriti dalla Parola e dall’Eucaristia possiamo, con audacia e coraggio, tracciare percorsi generativi, ricchi di misericordia, dove attestare la dignità dell’uomo, di ciascun uomo che incontriamo sul nostro cammino.
Gli olii, che fra poco benediremo, sono il segno eloquente di questo operare della grazia per la liberazione dell’uomo.
Essi attualizzano quanto ascoltato:
L’olio dei catecumeni, per chi si prepara a vivere l’avventura della fede, dona forza al cuore per affrontare con tenerezza combattiva quel male pervasivo, il peccato, che avvelena la vita e rende disumano il mondo.
L’olio degli infermi, per chi nel dolore del fisico, ha bisogno di sottrarsi alla sofferenza, al non senso e alla disperazione. Esso consegna il credente alla certezza di un Dio che sposa la nostra vita, la nostra carne, e ci sostiene nella fatica del vivere.
Infine l’olio del crisma, dono di grazia per chi è innamorato di Dio e a Lui affida se stesso, se stessa.
È l’olio della consacrazione battesimale, sacerdotale ed episcopale. Esso apre gli orizzonti del cuore ad una vita intrisa di bellezza e di tenerezza, capace di accogliere l’umano con le sue contraddizioni ma al tempo stesso aprirlo al mistero di un amore grande.
Il crisma profuma del dono della croce, di un Dio innamorato dell’uomo che nel Cristo, suo Figlio, ha frantumato la morte, e riversato il suo Spirito sull’umanità per liberarla dalla prigionia e dall’oppressione dall’egoismo. Ciascuno è reso annunciatore di misericordia, rivestito della dignità sacerdotale, regale e profetica, capace nel donare scintille di bene, di umanità vera.
Oggi come ieri, il Signore irrompe nel quotidiano, liberando ciascuno dal basso profilo a cui la mediocrità abitua. Coraggio miei amati figli e fratelli, Egli non viene a togliere i pesi della vita ma scioglie le catene del cuore; non rimuove la croce dalle nostre spalle ma ci sostiene nella fatica del vivere; non azzera le difficoltà e gli ostacoli ma suscita stupore e inebria di fiducia i cuori.
Miei cari fratelli nel sacerdozio, nel concludere, desidero riservare al cuore di ciascuno, alcune parole per sottolineare la meravigliosa bellezza di quanto oggi siamo chiamati a vivere.
Manifesto, con viva gratitudine e affetto, la stima per l’impegno che ponete a servizio di questa Chiesa, amata dal Signore.
Tra poco gli occhi di tutta l’assemblea saranno su di noi, mentre nel triplice: “Sì. Lo voglio”, radicheremo nell’oggi di Dio la nostra piena adesione al suo progetto d’amore per la gente a noi affidata.
Anche su di noi si poseranno gli occhi di questo popolo, desiderosi di coglierci sempre più innamorati e gioiosi per le scelte che rinnoviamo.
Viviamo in tempi non semplici ma belli per le opportunità che schiudono. La gente è sempre meno in grado di riconoscere i segni del culto ma è in grado di percepire l’autenticità del nostro vivere.
Essere pastori autentici è la categoria comunicativa più efficace. Diviene trasfigurante, per la nostra gente, l’intima connessione che attestiamo tra i valori annunciati e la vita che pratichiamo.
Essere pastori oggi richiede un cuore da mendicante, che non ha ricette in tasca, ma sa porsi nella complessità del vivere con parole e gesti semplici, con un cuore libero.
Vivere da ministri dell’eucaristia, conformati al Pastore supremo che ha dato la sua vita per il gregge, è invito pressante ad abbandonare la sterile ricerca di noi stessi per andare in strada a trovare coloro che sono smarriti e dispersi, poveri e affranti.
Essere dispensatori dei sacri misteri, non ci induca a sentirci depositari di un autoritarismo giudicante, lesivo dell’intima dignità dei fratelli che incontriamo, ma ci ponga accanto alle ferite di tutti con compassione, con occhi limpidi e cuore spazioso.
Tra poco diremo con una sola voce ed un solo cuore: Sì. Lo voglio. Sia il grido di un cuore che rifiuta la mediocrità, desiderando osare con gioia le strade possibili del vangelo.
Nel dire “Sì. Lo voglio” mettiamoci dentro il cuore e lasciamoci trasportare dalla forza dell’amore, per essere obbedienti, poveri e casti come il Signore chiede ai suoi amici.
A tutti porgo l’augurio di un cammino fecondo di grazia in questa Settimana Santa. Dio benedica tutti e ciascuno.
La Vergine Achiropita, Madre nostra dolcissima, doni gioia e ardore ai nostri vissuti e ci aiuti ad essere coraggiosi discepoli del Figlio suo.
Così sia!
+ don Giuseppe
Arcivescovo