Riflessione dell’Arcivescovo per la V domenica di Quaresima anno A

ADORAZIONE EUCARISTICA

  1. marzo. 2020

Riflessione dell’Arcivescovo

V domenica di Quaresima anno A

Gv.  11,3-7.17.20

       Carissimi e carissime,

siamo all’ultima tappa del camino catecumenale proposto dalla liturgia di questo itinerario quaresimale. Il ciclo dell’anno A ci offre brani che ci aiutano a comprendere il senso della vita cristiana nella sua identità più chiara.

Il brano odierno di Giovanni sembra sintonizzarsi con il dolore di questo tempo, colmo di tanti lutti; con suggestioni profonde che ci aiutano a riflettere in questo momento, così lacerante e doloroso.

Gesù viene raggiunto da una notizia che ha il sapore di una invocazione accorata: “Signore il tuo amico è malato!”. Egli non si muove, indugia, attende due giorni e quando decide di andare, Lazzaro è già morto.

Possibile che Dio sia sempre lontano quando lo si desidererebbe vicino?

Come mai arriva regolarmente in ritardo sulle nostre attese.

“Signore Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!”.

Questa affermazione di Marta, tradotta nel nostro contesto di vita, assumerebbe un altro tono e ci farebbe dire frasi come queste, ad esempio:

“Se Dio esistesse permetterebbe tutto questo dolore?”.  Oppure “Com’è possibile credere dopo aver assistito a una tragedia come questa, senza che Dio abbia mosso un dito?”.

È interessante notare come Gesù non si giustifichi, né ci rimprovera per i nostri sfoghi, per le nostre proteste anche, le più violente, Egli si limita a ripetere: “Se credi vedrai la gloria di Dio”.

Notiamo come il verbo credere è al presente, mentre il verbo vedere e al futuro, nello stacco tra questi due verbi si colloca il tempo della Speranza cristiana.

Il nostro guaio è che tendiamo a invertire i due verbi e, prima di credere, prima di dare fiducia vogliamo toccare con mano i risultati, non comprendendo che la porta attraverso cui la gloria di Dio entra nella storia dell’uomo è la nostra capacità di credere, è la nostra capacità di consegnarci, è la nostra capacità di affidarci.

La sorpresa, l’imprevedibile, addirittura l’impossibile, si concedono esclusivamente alla Fede. La sua Gloria va proclamata nell’oscurità, non dopo che si sono dissipate le tenebre, così come la sua potenza va posta nella sconfitta più bruciante, non al momento del trionfo.

Cristo non è la resurrezione e la vita, … dopo che ha spalancato il sepolcro di Lazzaro…

Piuttosto, Lazzaro, è uscito dal sepolcro perché qualcuno prima, ha osato proclamare: “Io credo!”. La nostra fede apre le porte alla potenza dell’Amore.

Il motivo della risurrezione di Lazzaro è l’amore di Gesù: un amore capace di compassione, fino al pianto.

Credere alla risurrezione significa amare la vita, gustarla in tutta la sua pienezza. Significa dare al vivere un valore grande che passa attraverso il rispetto della bellezza di ogni realtà creata, a partire di chi mi sta dinanzi.

Nel pianto di Gesù scorgiamo l’abisso di tenerezza del cuore di Cristo, l’amore grande con cui aveva accolto questa amicizia nella sua vita, la compassione profonda con cui Egli vive il dolore umano.

Don Tonino Bello affermava: “Se non ci sentiamo torcere il cuore, se non ci sentiamo stringere l’anima di fronte alle sofferenze del mondo, non siamo secondo il cuore di Dio”.

Don Milani, nella scuola di Barbiana, aveva scritto in grande: “Mi sta a cuore”.

Era il suo modo di porsi dinanzi alle fatiche di quell’umanità povera, che egli aveva incontrato nel suo ministero di sacerdote.

Ebbene, attraverso le lacrime di Gesù si dilata la nostra vista e possiamo comprendere il grande abisso d’amore da cui la vita si fa strada per entrare nei nostri cuori induriti, autoreferenziali, incapaci di leggere la storia e i suoi movimenti.

Quanto stiamo vivendo ai nostri giorni ci rimanda una verità luminosa: oggi non bastano più le cose per dire vicinanza e amore. Oggi siamo chiamati a mettere in gioco la nostra vita, siamo chiamati a offrire con amore un lembo della nostra esistenza. Solo allora la tenerezza infinita di Dio si farà spazio nelle scelte che siamo chiamati a vivere.

Togliamo i macigni che occludono le imboccature dei nostri cuori, che seppelliscono la capacità di vivere senza rancori, senza sensi di colpa e incapacità al perdono.

Veniamo fuori dalle oscurità del vivere, abbandonando ogni forma di pigrizia spirituale e ridando fiducia alla grazia, a quelle potenzialità di vita e di amore seminate da sempre nei nostri cuori.

Liberiamoci dalle bende delle paure che attanagliano la nostra esistenza, dalle maschere che non ci rendono veri, da quei grovigli esistenziali che ci tengono lontani dalla capacità di amare…

O Signore, torna a poggiare il tuo alito di vita su di noi, sui cuori inariditi, sulle nostre comunità spente.

Fa, o Signore, che il tuo Spirito scenda nelle profondità di ciascuno e, abitandole, torni a farci vivere.

Prendi possesso, o Signore, delle nostre esistenze perché possiamo rimanere pienamente umani, secondo il tuo progetto d’amore. 

Proteggi i malati e assisti quanti si prendono cura di loro, insegnandoci che vivere è donarsi.

Liberaci da noi stessi e aprici alla vita vera.

Consola e risana le ferite di quanti hanno perso un loro caro, nell’impotenza di questi giorni, sperimentando l’abisso del dolore.

Accogli, tra le tue braccia misericordiose, i nostri fratelli defunti che consegnano con al tuo cuore ardente di tenerezza per noi.

AMEN

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