Omelia di S. E. Mons. Antonio Cantisani della Messa Pontificale, in occasione della festa della SS Achiropita


Vi è facile immaginare, sorelle e fratelli carissimi, quale sia la mia commozione nel trovarmi oggi – per l’affettuoso invito di mons. Arcivescovo e di mons. Vicario Generale – dinanzi alla Madonna Achiropita. Per quasi nove anni è stata Lei a guidarmi, ad accompagnarmi e a sostenermi nel mio servizio pastorale in questa santa Chiesa di Rossano, senza che poi sia mai uscita dal mio cuore.

La commozione, però, è particolarmente intensa perché incontro nello stesso tempo il popolo di Rossano. Un popolo buono, profondamente religioso, esemplarmente fedele, santamente orgoglioso della sua storia e allo stesso tempo aperto alle sorprese del futuro; un popolo con il quale in quegli indimenticabili nove anni ho condiviso tutto: gioie e speranze, problemi e fatiche, che mi fanno pensare con grata simpatia agli scioperi fatti insieme agli operai della Centrale e ai forestali della Sila; un popolo alla cui scuola – non è una battuta, ma la pura verità – ho imparato a fare meno indegnamente il vescovo.

Intanto, posso senz’altro applicare al popolo di Rossano quanto un giorno ha detto papa Bergoglio quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires: “Questo popolo coglie che la protezione di Dio gli giunge tramite l’invocazione ad un’immagine di Maria, personalizzata e singola – l’Achiropita, appunto – e che perciò personalizza e singolarizza questo popolo. Il popolo si sente identificato con l’Achiropita: così come vi hanno fatto ricorso i suoi avi, oggi vi ricorre per i suoi problemi”.

Sin dai suoi inizi la Chiesa di Rossano, arricchita della spiritualità orientale, ha venerato Maria come Θεοτόκος, Madre di Dio. È, d’altronde, questo, il titolo principale ed essenziale della Madonna. Ed è per questo che la fede ha portato il popolo cristiano ad amarLa con immensa tenerezza di figli. Ma, per quel sensus fidei del santo popolo di Dio che nella sua unità non sbaglia mai, nel suo cammino storico ha sempre più visto e sentito Maria anche come Madre sua, certamente di ogni singolo fedele, ma anche e soprattutto di quanti credono in Cristo nella loro totalità.

Anche questa Chiesa ha perciò esultato quando il 21 novembre 1964, alla chiusura della terza sessione del Concilio Vaticano II, Paolo VI proclamò Maria Santissima “Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei pastori, quanto dei fedeli”.

 

  1. Certo, sono molteplici i legami con i quali il popolo cristiano è congiunto alla Vergine Maria, ma con quel titolo – “soavissimo”, lo definì il Papa – si celebra innanzitutto la funzione materna che, secondo il beneplacito di Dio, Maria Santissima adempie nella Chiesa e per la Chiesa.
  2. E’ Madre della Chiesa, la Madonna, innanzitutto perché è madre di Gesù, il Figlio di Dio, colui che sarebbe diventato il capo di quel Corpo mistico, nel quale e per mezzo del quale egli avrebbe portato a compimento il progetto di Dio Padre su ciascuno di noi e sull’umanità intera. Sarebbe bello leggere una stupenda pagina di San Bernardo per la festa dell’Annunciazione. Egli immagina che tutta l’umanità, da Adamo sino all’ultimo uomo che sarà sulla faccia della Terra, si raccolga intorno a Maria che sta per rispondere all’Angelo che le aveva annunziato la vocazione ad essere la madre del Figlio di Dio. Maria sembra essere turbata. E allora tutti, a una sola voce, le gridano: “Rispondi, rispondi per noi, altrimenti siamo rovinati per sempre”. E Maria rispose. Rispose liberamente “sì”. E allora “il Verbo si fece carne e pose la tenda in mezzo a noi” (Gv 1, 54). Ha ragione la liturgia di cantare: “Divenendo Madre del Creatore, Maria segnò gli inizi della Chiesa”.
  3. Maria, poi, è Madre della Chiesa perché corredentrice. Certo, è Gesù l’unico Salvatore e ha portato a compimento il suo disegno di amore quando si è lasciato inchiodare sulla croce. Dal fianco squarciato di Cristo uscirono sangue ed acqua, simboli dei Sacramenti della Chiesa. Ebbene Maria, che aveva consacrato totalmente la sua vita alla persona ed all’opera di suo Figlio, si associò al suo sacrificio redentore. Possiamo parlare proprio di “passione del Figlio” e di “com-passione della Madre”. Ha davvero sofferto l’agonia del cuore quando ha rinunziato al suo Figlio per avere tutti noi, suoi figli, come “figli di Dio”. Non è senza significato che proprio dalla croce Gesù ha dato a noi come Madre nostra la sua stessa madre, indicando Maria e dicendo a Giovanni: “Ecco la tua madre” (Gv 19, 14).
  4. Maria, in terzo luogo, è madre della Chiesa perché ne ha seguito i primi passi nella storia già prima che si avventurasse per il mondo ad annunziare la gioia del Vangelo a tutte le creature. E’ bello contemplarla nel cenacolo ad attendere l’effusione dello Spirito con gli apostoli e la prima piccola comunità dei discepoli di Cristo, secondo quanto leggiamo negli Atti degli Apostoli: “I discepoli erano assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di Gesù” (At 1, 14).
  5. Maria, infine, è Madre delle Chiesa, perché, ora che partecipa della gloria del Figlio, l’accompagna con materno amore e, soprattutto con la sua “onnipotente” intercessione, “la protegge nel cammino verso la patria, fino al giorno glorioso del Signore“. Basta ricordare gli innumerevoli titoli con cui in ogni parte del mondo viene invocata, non ultimo quel simpatico e comunque rivoluzionario titolo che piace tanto a Papa Bergoglio: “La Vergine che scioglie i nodi”.

 

  1. Sì, Maria Madre della Chiesa, ma anche immagine, modello o – come piace dire a me – figura della Chiesa.
  2. Ha ragione il Papa quando dice che “la Chiesa e la Vergine Maria sono mamme, ambedue: quello che si dice della Chiesa si può dire della Madonna e quello che si dice della Madonna si può dire anche della Chiesa”. Come Maria, pertanto, la Chiesa è innanzitutto madre, la madre che ci genera alla vita di fede. Lo sappiamo: la fede è certamente un atto personale, ma è sempre un dono che viene dall’alto e che ci è dato “nella Chiesa e attraverso la Chiesa”. Pensiamo al Battesimo: è il giorno in cui la Chiesa ci genera come madre, ci dona la vita di Dio, ci fa nascere come figli di Dio. Stupende le parole scritte in latino nel Battistero di San Giovanni in Laterano: “Qui nasce un popolo di stirpe divina generato dalla Spirito Santo […]; in queste onde la Madre Chiesa partorisce i suoi figli”. Ovviamente, poi, come Maria ha fatto con Gesù, questi suoi figli la Chiesa li aiuta a crescere, soprattutto con la Parola e con i Sacramenti, finché giungano alla maturità perfetta dell’età di Cristo.

Accenno semplicemente al fatto che la Chiesa, come Maria, è nello stesso tempo vergine, ed è tale perché ha sempre conservato l’integrità della fede, anche in momenti bui della sua storia, quando sul trono di Pietro siedevano Pontefici umanamente indegni. Ed è per tale motivo che spesso sento il bisogno di ricordare che è la fedeltà alla Chiesa che garantisce la fedeltà a Gesù Cristo.

  1. Maria, poi, è figura della Chiesa perché ci dice qual è la meta verso cui essa cammina, la sua destinazione ultima. E difatti Maria è già ciò che la Chiesa è chiamata ad essere e certamente sarà per la forza dello Spirito del Signore Risorto. E’ una verità, questa, di cui possiamo prendere coscienza e che possiamo gustare soprattutto nella festività odierna: l’Assunzione di Maria per la Chiesa Latina, la Dormitio Virginis per la tradizione bizantina, conservata a Rossano fino al 1480. Certo è che al termine del corso della sua vita terrena fu glorificata non solo nell’anima ma anche nel corpo. Oggi celebriamo davvero la “Pasqua della Madonna”.

E così la Regina che siede alla destra del Signore, la donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle, viene a ricordarci che non siamo in cammino verso la morte, ma verso la vita, la pienezza della vita, la pienezza della gioia. Solenne l’affermazione di San Paolo nella seconda lettura: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1 Cor, 15, 26). La Chiesa è pellegrina, certo, ma verso la Gerusalemme celeste, ove saremo pienamente il “noi” e per questo saremo pienamente realizzati anche sul piano personale. Cristo consegnerà noi come suo regno al Padre. E Dio sarà tutto in tutti. Anche i nostri corpi risorgeranno. La stessa realtà materiale parteciperà della manifestazione della gloria dei figli di Dio.

Così si spiega perché noi cristiani, nella profonda consapevolezza del nostro destino trascendente, amiamo tutte le realtà terrene e siamo certi che nulla di ciò che è autenticamente umano sarà perduto. Non si può essere felici se si vive senza prospettive eterne e metastoriche, se il nostro spazio vitale rimane l’attimo fuggente, il piacere immediato, la gioia effimera (se pur gioia può dirsi).

  1. Maria è, infine, figura della Chiesa perché indica la via da percorrere per giungere alla meta. In fondo, anche la nostra Achiropita è una Madonna Odigitria, colei che indica la via, e la via della salvezza è una sola: quel Gesù che ella ci mostra nelle sue braccia.

Sento il bisogno a questo punto di render lode al Signore, perché ha voluto arricchire la nostra Calabria di quella pietà popolare che nei confronti della Madonna si esprime in tanti segni di particolare affetto, e, biblicamente fondata, filiale, sincera, disinteressata, è stata nei secoli e ancora oggi è la via più diritta che porta Gesù, come centro della nostra esistenza e della storia di tutti gli uomini. Noi veniamo a Maria, e Maria ci mostra Gesù, ci dona Gesù. Ed è Lei la maestra di vita spirituale, che col suo esempio ci insegna in che cosa consiste la sequela di Cristo. Abbiamo ascoltato nel Vangelo Elisabetta che, piena di Spirito Santo, l’ha proclamata beata per aver creduto sempre e in ogni circostanza alle parole divine (cfr Lc 1, 45). E’ proprio vero che “ci precede nella peregrinazione della fede”. Dal momento dell’incarnazione fino al dramma del calvario ha detto sempre “sì” al Signore, anche quando è stata chiamata a passare per vie impensate ed impensabili, e, in particolare, attraverso la “via stretta” della croce.

Nella Chiesa di Catanzaro e di Squillace, che lo Spirito mi ha mandato a reggere dopo Rossano, c’è quel fiore all’occhiello che è la Certosa di Serra San Bruno. Vi confido che ripeto spesso il motto dei Certosini che lì trovo scolpito in più parti: Stat crux dum volvitur orbis (“sta ferma la croce, mentre il mondo si agita”) e penso a Maria che stabat iuxta crucem lacrimosa. Stabat: in piedi, come un sacerdote che offre l’Ostia santa per la salvezza del mondo. Certo, non è concepibile il Cristianesimo – la vita, dovrei dire – senza la croce. Intesa, però, come l’hanno intesa Gesù e Maria. Non come rassegnazione, bensì come capacità di prendere ciò che si è per farne un dono agli altri. La fede è autentica se si esprime nell’amore, vedendo Gesù crocifisso soprattutto nei grandi crocifissi della storia.

Ecco perché una Chiesa che venera Maria vuol essere una Chiesa “povera per i poveri”. Ecco perché una diocesi innamorata di colei che ha magnificato l’Onnipotente, il quale “ha rovesciato i potenti dai troni ed ha innalzato gli umili, ha ricolmato di bene gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote”, sa farsi carico dei problemi del territorio. Innanzitutto con la testimonianza, poi col magistero e, comunque, impegnandosi a formare laici maturi nelle fede che, convinti che il posto proprio della loro missione non è il tempio e meno ancora la sacrestia, e che pertanto la fuga dalla storia non si addice ai cristiani, stanno in mezzo ai problemi, con la loro libertà e la loro responsabilità si impegnano ad animare dello spirito del Vangelo tutte le realtà create, compresa ovviamente la politica, e, pagando di persona, offrono il loro contributo per creare condizioni sociali che consentano a tutti di veder realizzate le loro legittime attese terrene.

Non vi sembri strano se a questo punto, ai fini della soluzione dei problemi, io senta il bisogno di sottolineare l’importanza della fedeltà al proprio dovere di ogni momento. Pensiamo alla Madonna. Dopo l’annuncio dell’Angelo non andò a vivere come nelle favole in un castello incantato, ma continuò ad essere una ragazza della Palestina del suo tempo. E così fece la fidanzata, la sposa, la madre, la vedova, la casalinga, la coltivatrice diretta, forse la bracciante agricola, ricordandoci che nella vita non conta fare cose straordinarie, ma fare bene, per amore, le cose ordinarie, appunto quel dovere che ciascuno è chiamato a compiere secondo la propria personale vocazione. Credetemi: l’età mi ha fatto diventare in qualche modo un fanatico assertore “della straordinarietà dell’ordinario”. Certo, anche nell’era della globalizzazione, ha la sua validità l’affermazione di un illustre pensatore: “Se, più che a star bene, pensassimo a far bene, finiremmo tutti con lo stare meglio”.

 

  • Se è così stretto il rapporto tra Maria e la comunità ecclesiale, è più che logico che noi, quali devoti di Maria, ci chiediamo come comportarci con la Chiesa.
  1. Sinteticamente possiamo dire che occorre innanzitutto credere la Chiesa. Non tanto credere alla Chiesa: questo è vero, ma è un altro problema. E perciò insisto: credere la Chiesa. E’ un articolo del nostro credo. Il Signore poteva salvarci in tanti modi, ma ha scelto di salvarci così, chiamandoci a far parte di un popolo. E, “contro il fatto, non c’è argomento che tenga”. E’ pertanto sempre valido quanto dicevano gli antichi Padri: “Non può avere Dio per padre chi non accetta la Chiesa per Madre”, dando ovviamente per certo che la Chiesa effettiva ha confini più estesi della Chiesa visibile. Ed è chiaro che mi riferisco non ad una Chiesa astratta o sognata, ma alla Chiesa inserita nella storia, incarnata nel territorio: con questo vescovo, con questi preti, con questi fedeli, con questa sua cultura, con questi suoi problemi.
  2. Occorre, poi, amare la Chiesa. Amarla come l’ha amata e l‘ama Maria. E, pertanto, come l‘ha amata e l’ama Gesù, il quale “ha dato se stesso […] per vedersela davanti a sé, piena di splendore, senza macchia né ruga ma santa e immacolata” (cfr F 5, 26s). Amarla, la Chiesa, come si ama la propria madre. Certo, mia madre lavorando per i figli può anche macchiarsi la veste, e difatti nella storia quante contro testimonianze da parte dei Cristiani; ma quando mi accorgo di queste macchie, non ho il diritto di contestarla e meno ancora di rinnegarla: ho solo il dovere di amarla di più, procurandole con la riforma della mia vita una veste nuova che le consenta di rivelare il volto dello Sposo.
  3. Occorre, in terzo luogo, sentirci corresponsabili della vita e della missione della Chiesa. Vi prego di sottolineare la parola: ho detto “corresponsabili”. Quando una volta chiedevo ai bambini: cos’è la Chiesa?, rispondevano: “La casa di Dio”; ora rispondono: “La Chiesa siamo noi”. Verissimo. I laici sono Chiesa nel senso pieno del termine. La Chiesa di Gesù Cristo non è clericale, anche se in essa c’è diversità di carismi e di ministeri, tutti comunque finalizzati a costruire l’unità del popolo di Dio. Già alla luce del Vaticano II ci vuole ancora un po’ più di coraggio nel valorizzare il carisma del laicato, uomini e donne ovviamente, rendendo in particolare più determinato l’ancora timido impegno di garantire la presenza femminile là ove si prendono le decisioni.
  4. Bisogna partecipare attivamente alla vita della Chiesa. E pensando a Maria, che “in fretta” si reca dalla sua parente Elisabetta, certamente per prestare eventuali servizi ma soprattutto per annunciare la gioia che il Verbo si era fatto carne nel suo grembo ed ormai abitava in mezzo agli uomini, e perciò come prima missionaria, preme sottolineare l’urgenza di lasciarsi totalmente coinvolgere in quello che è il primo compito della Chiesa: annunciare la gioia del Vangelo, l’indistruttibile amore di Dio per ogni creatura, la sua infinita misericordia. La Chiesa o è missionaria o non è la Chiesa di Gesù Cristo. Tutta missionaria, ovviamente. Come la vuole Papa Francesco: “in uscita, verso le periferie esistenziali e geografiche”. E mai dimenticando che ogni battezzato è costitutivamente missionario, chiamato ad annunziare il Vangelo nelle comuni circostanze dell’esistenza, con la gioiosa testimonianza della sua vita. La fede non si diffonde con il proselitismo, bensì “per attrazione”.
  5. È necessario, infine, che ciascuno faccia la propria parte, eventualmente modesta ma sempre insostituibile, per renderla bella, la Chiesa, proprio come la vuole Gesù: Chiesa famiglia di Dio, Chiesa comunità di fratelli, Chiesa “comunione”. Una comunione che si esprime e cresce con l’accoglienza, la condivisione, la solidarietà, il dialogo, la corresponsabilità, la collaborazione: valori, certo, ma soprattutto doni, di cui il Signore ci arricchisce e che vanno vissuti nella fede. Beata quella Chiesa il cui pastore vuol “camminare insieme” ai presbiteri e ai fedeli, facendo della “sinodalità” lo stile della prassi quotidiana.

Sto insistendo a parlare di comunità che vive ed esprime la comunione: non esagero se parlo di comunità che vive ed esprime la “comunione trinitaria”. Rimango sempre affascinato da una stupenda frase di S. Cipriano, che già nel III sec. definiva la Chiesa plebs adunata de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti (“il popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”; De oratione dominica, 23). È meravigliosa quella preposizione de: non solo causativa, ma partecipativa. La Trinità è l’origine della Chiesa: essa, però, le comunica continuamente la sua vita perché sia una comunità nella quale ci amiamo ad uno ad uno dello stesso amore di Dio.

  1. Se è così, mi è logico pensare ancora all’Achiropita: “non dipinta da mano d’uomo”. E così è la Chiesa: “non fatta da mano d’uomo”. Certo, noi dobbiamo mettercela tutta, e con la nostra fantasia pastorale cercare vie nuove per annunciare il Vangelo, ma senza farci illusioni. È il Signore che costruisce la sua Chiesa, è Lui che “crea” la comunione.

Ne segue che l’amore alla Chiesa si esprime affermando nella sua vita il primato della preghiera. In principio l’adorazione! Ma intendo riferirmi in particolare all’assemblea eucaristica domenicale. È il momento più alto in cui il popolo rinnova l’alleanza con il suo Signore, e perciò l’impegno a parteciparvi va considerato assolutamente ineludibile.

Intanto, preghiamo la Madonna Achiropita, e preghiamola innanzitutto di benedire questa santa Chiesa di Rossano-Cariati, perché sia una Chiesa povera, libera, giovane, aperta, inquieta, e perciò ricolma di evangelica letizia.

E preghiamola anche per noi, davvero suoi figli devoti. Assunta in cielo, è ormai libera da ogni condizionamento spaziale e temporale ed è perciò realmente presente in mezzo a noi, è vicina a ciascuno di noi. E come la più premurosa delle madri ci vede, ci segue, ci accompagna, ci sostiene, ci incoraggia e ci ottiene dal Signore ogni grazia di cui si ha bisogno. Davvero “segno di consolazione e di sicura speranza”. Sentiamola sempre più intensamente la sua presenza, viviamola questa presenza, gustiamola, e allora avremo il diritto e il dovere di guardare al futuro con illimitata e sempre nuova fiducia. Amen.

 

 

Cattedrale di Rossano, 15 agosto 2017

condividi su