LIBERI PER LIBERARE: Riflessione introduttiva dell’Arcivescovo Mons. Satriano

Buonasera a tutti e benvenuti per questo momento ricco dei colori della nostra vita, dei sogni che portiamo e di quell’anelito di verità, giustizia, legalità che alberga nel cuore di tutti noi in una sola parola di LIBERTA’.

​Saluto le autorità intervenute, le associazioni presenti con i suoi singoli associati, i cari amici di LIBERA che hanno accolto l’invito a iniziare un
cammino, e a quanti si sono adoperati perché questo momento si realizzasse, mi riferisco a quanti mi collaborano: il Mlac, l’Ufficio di Pastorale Sociale, L’Ufficio Comunicazioni Sociali nella persona di Anna Russo, e al caro Stefano Russo che gestisce questa sala.

​Due realtà fortemente evocative mi hanno sempre accompagnato da quando mi sono affacciato ad una vita consapevole, e sono quella del gabbiano, che libero solca l’acqua del mare – provengo da una città che è abbracciata dal mare: Brindisi – ed una parola: “La verità vi renderà liberi”, parola che troviamo nel vangelo di Giovanni al capitolo 8 al versetto 32.

​Accanto ad esse una persona che è una icona stupenda di libertà quella del Giudice “ragazzino” Rosario Livatino, a cui ho voluto ispirare la nostra iniziativa diocesana di formazione “La vita in cattedra” con la frase “per essere credenti credibili”, appartenente alla sua penna.

​Ho sempre capito che la libertà non è un bene fine a sé stesso. La libertà non si può capitalizzarla accumulando opportunità e spazi di autonomia autoreferenziale. Essa cresce solo se condivisa, offerta, cercata e coltivata per un sogno altro da sé stessi, un sogno altro che nella misura in cui si nutre di alterità respira anche la dimensione dell’oltre, illuminando la vita e donando opportunità di speranza per un mondo migliore, più giusto, più ricco di pace, di quella pace che è specchio della gloria di Dio, come affermeremo tra qualche giorno nella liturgia del Natale di Gesù: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”.

​Tornando alle immagini riprendo quella del gabbiano.

Chi di noi non ha letto e gustato il Gabbiano Jonathan Livingston di R. Bach. La storia di un gabbiano che sfida le convenzioni oppressive di uno stormo incastrato nella logica della “qui ed ora”, del “che ne viene a me”, di quella che l’autore definisce la logica della pappatoia.

​È in questa cultura che anche noi ci sentiamo privati del respiro di una vita degna, di una vita che sempre più viene risucchiata in logiche ambigue, ricche di compromesso e di morte e che sfocia in atteggiamenti conniventi con chi desidera privarci di ogni sussulto di riscatto e di speranza, mi riferisco alle mafie e a quanto generato dalla corruzione a più livelli, nel mondo politico e imprenditoriale, vera e propria struttura di peccato.

​“La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che sò tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere.”
Papa Francesco,
Visita a Cassano allo Jonio, Omelia,
Sibari 21. VI. 2014

​In questo senso avverto forte la provocazione che viene dal Vangelo dove è chiara l’opera di affrancamento e di liberazione operata dall’incontro con Cristo.

​Essere liberi non è solo un’operazione di rimozione, pura e semplice, di quegli ostacoli strutturali che sembrano impedire la piena realizzazione degli individui o di puntuale denuncia e lotta all’ingiustizia, alla criminalità organizzata.

​Credo che per essere liberi veramente c’è bisogno di attivare percorsi educativi protesi al cambio di mentalità, capaci di dialogare con la dimensione profonda del vivere.
​Quanto troviamo nelle affermazioni di Gesù alla sinagoga di Nazareth, prese da Isaia, mi sembrano illuminati:

​“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, 19 e predicare un anno di grazia del Signore.” (Lc. 4,18 -19).

​È in Lui uomo nuovo che trova senso e significato la capacità di ridare dignità alla vita. La verità che ci rende liberi è quella scritta nel cuore di ciascuno e che non può essere mortificata a lungo, pensiamo a Lea Garofalo di cui oggi ricorre l’anniversario.
​Nella lingua ebraica la parola dignità si traduce con kavod atzmì, “onore verso sè stessi”.
Questa etimologia ci ricorda quella grande anima del secolo scorso che è don Lorenzo Milani, il quale amava ripetere di essere “servo di Dio e di nessun altro”. È proprio qui il fondamento della dignità: decidere di non essere sudditi. Possiamo essere tutto, compagni di strada, fratelli amici, coniugi, figli, genitori, ma mai sudditi!

​È questa la liberazione che intravedo nel messaggio cristiano, creare cuori liberi capaci di opporsi alle nuove forme di avvilimento dell’umano. Molti sono i modi di uccidere un essere umano, uno di questi è togliergli la dignità.

​Oggi siamo qui, insieme, per dire no a questo processo degenerativo della nostra società.
​I Comuni chiusi ieri per infiltrazione mafiosa dicono che il cancro si annida nel cuore delle nostre realtà civiche dove si decide il futuro di una popolazione.
​Noi non posiamo accettarlo.

​Voler dare un presidio di Libera a questo territorio, non è cercare una bacchetta magica che ci aiuti a risanare i nostri vissuti di socialità ma cercare una possibile strada per camminare insieme in una chiara adesione a percorsi che, lungi dall’accettare la logica demolente del profitto personale, sappiano realizzare una sana “cultura del noi”, della solidarietà, della condivisione e della denuncia attraverso scelte, testimonianze esemplari e liberanti.

​Come Vescovo di questo territorio non posso dormire tranquillo sapendo che nelle viscere delle nostre contrade si nascondono fiumi carsici di malaffare e di corruzione.
​Non posso rimanere inerme dinanzi al dolore di quanti si ritrovano a perdere tutto, ingoiati dal buio e dall’indifferenza di molti.
​Credo che la società civile debba ritrovare l’orgoglio della propria storia.
​C’è bisogno di avere uno scatto di reni, un moto di orgoglio, che facendo leva sulle nostre nobili radici
– non dimentichiamo di essere la patria di S. Nilo, la terra abitata da S. Francesco di Paola, uomini che hanno saputo porsi con determinazione di fronte al malessere del proprio tempo denunciando – porti ad affrancarci, con determinazione, da un silenzio troppo assordante, da legami di schiavitù quali la clientela, il ricatto corruttivo e la fatue promesse di chi intende narcotizzare questo sogno di dignità e di libertà.

​Nel concludere desidero riconsegnare un affermazione proprio di S. Nilo che sento quanto mai vera e augurale in questo momento: “Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce”

​Buon cammino a tutti … ma liberi.

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