“Dalla croce sgorga la salvezza che ricrea l’umanità”. Omelia Mons. Satriano nel Venerdì Santo

V

          La Liturgia ci ricorda con i suoi segni che il silenzio e la polvere sono necessari per accostarci al trono della Croce fino a poter riconoscere in esso, non un luogo di sconfitta e di annientamento, ma un segno di vittoria.

          Il libro del profeta Isaia e quanto ascoltato nella Lettera agli Ebrei, ci aiutano a comprendere come la croce sia il palcoscenico su cui viene manifestato, rivelato un amore infinito, tenero e libero.

“Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità.”
                Isaia

“Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.”                              Ebrei

          La croce è un patibolo ma si trasfigura in trono quando accoglie Gesù .

          Quello che avviene sulla croce, e il vangelo di Giovanni ce lo attesta, è un nuovo parto.

          Dalla croce sgorga la salvezza che ricrea l’umanità, restituendogli la dignità della figliolanza divina.

L’evengelista Giovanni ci consegna alcune delle sette parole pronunciate da Gesù sulla croce.

In particolare una delle ultime tre mi interessa porre alla vostra attenzione:

          Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 

          C’è una sete drammaticamente reale, il corpo è disidratato e fa richiesta d’acqua.

          Il bisogno della sete è violento, Gesù vive uno strazio assoluto. La sua carne reclama un bisogno insopprimibile, facendoci cogliere che Gesù è veramente umano in questo suo sentire e  avverte il bisogno dell’acqua in maniera vera, autentica.

          Gesù sta affermando che non può vivere senza bere, è una tortura che non sopporta. Egli denuncia un bisogno vitale.

          Quanti bisogni non reali, non vitali, animano la nostra vita facendoci assolutizzare cose relative che ci inducono a gesti insulsi, inqualificabili, a prepotenze che schiacciano gli altri.   

          Gesù nel comunicare la sua sete non assolutizza il proprio istinto, il proprio bisogno ma lo fa diventare relazione: Gesù chiede, domanda, invoca, come aveva fatto con la Samaritana al pozzo, esprimendo un’infinita umiltà del cuore.

          Egli sa che deve bere il calice del Padre, sta bevendo la sua dolorosa passione, ma la sua sete lo spinge a supplicare i suoi interlocutori…

          … ma di che sete Gesù patisce in questo momento?

Ha sete di acqua oppure c’è un’altra sete che Gesù denuncia?

          Accanto alla sete d’acqua Gesù ha sete d’amore, ha sete di noi, dei nostri cuori. Egli sente la nostra sete, avverte il nostro vivere troppo inaridito.

          La sua sete d’acqua è ormai irrisolvibile e la sua denuncia guarda ora alla nostra sete: la sete di Dio, la sete d’amore.

          Egli ora la comprende in tutta la sua drammaticità e la grida dall’alto della croce.

          Ecco che l’acqua che non ha ricevuto, Egli ce la dona da quel costato trafitto, dove prende vita il cammino di una umanità rinnovata.

          La chiamata che ne viene per noi tutti è quella di cogliere il frutto maturo che pende da quest’albero di vita, che è la Croce, ovvero un amore libero perché liberato, capace di dono e non di possesso, incline a perdersi per l’altro e non più ripiegato egoisticamente su se stesso.

          Il peccato di Adamo e di Eva, da cui sono scaturite le tenebre, e che ha inaridito e lacerato la terra, è stato risarcito nell’amore filiale e obbediente del Cristo.

          Anche noi possiamo, come Cristo, essere realmente presenti nella nostra storia da protagonisti e, il Triduo Pasquale ce lo ricorda.

          Anche noi come Lui possiamo abbandonarci all’avventura di essere Uomini e Donne fino in fondo, come Lui, per diventare anche noi terra assetata, deserta ma prossima a fiorire, a risorgere e a segnare una storia ricca di luce e di grazia per tutti.

                 Così sia!

                                                 + don Giuseppe

                                                     Arcivescovo

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