25° di Sacerdozio di don Giuseppe Scigliano – OMELIA

25° di Sacerdozio

di

don Giuseppe Scigliano

OMELIA

 

 

In quel tempo, il Signore disse:  «A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite:  “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

(Lc 7,31-35)

 

Dinanzi al vangelo e alla prima lettura di questa sera emergono alcune considerazioni che ci aiutano a meglio comprendere la nostra vita cristiana e il mistero del sacerdozio, vero dono all’umanità.

Come evidenzia il brano evangelico il Regno di Dio è realtà dinamica che è possibile approcciare solo facendone esperienza, vivendosela dall’interno e non mediante un’analisi speculativa.

 

Siamo chiamati a fare esperienza della Signoria di Dio sottraendoci alla schiavitù delle situazioni e del mondo che ci circonda.

Uomini e cose spesso signoreggiano la nostra vita, rendendoci succubi e schiavi della mondanità, della piacevolezza del vivere, dell’idolatria di noi stessi.

 

È importante leggere i segni dei tempi, discernere in profondità con uno sguardo puro l’azione di provvidente di Dio che attraversa la storia e la orienta verso il suo compimento.

 

Non è questione di statistiche e/o di analisi sociologiche, ma di cuore. Imparare a discernere l’opera di Dio è questione di cuore.

Di un cuore che sa cogliere i movimenti dell’amore di Dio attraverso gli eventi, le storie, le situazioni, gli accadimenti, gli incontri, i volti.

Di un cuore che sa farsi piccolo, povero e aperto con fiducia all’azione di Dio. Capace di guardare la vita con semplicità, di imparare a scoprire le meraviglie di Dio nascoste nel quotidiano attraverso i segni ricchi di essenzialità.

Questo è possibile solo quando abbiamo un cuore aperto all’amore di Dio e dei fratelli.

Un cuore calcolatore e ostile, che indaga la realtà senza amore non giungerà mai a scorgere le meraviglie di Dio ma tenderà ad imporre la sua visione carica di giudizi e di preconcetti.

Il Signore ci presenta ragazzi testardi e capricciosi come esempio per raffigurare la caparbietà cieca della gente del tempo, invitandoci ad essere figli docili della Sapienza.

 

I figli della sapienza penetrano il senso delle cose e della realtà poiché aderiscono, senza sé e senza ma al Figlio dell’uomo che viene e da Lui si lasciano condurre. Se tutto questo è vero per ciascuno di noi, ancor più acquisisce forza e spessore per coloro che il Signore ha scelto in mezzo al suo popolo per essere pastori e guide: i sacerdoti.

Affermando ciò non c’è l’attestazione di un potere ma di un servizio impastato di amore autentico. Quell’amore non configurabile in nessuna forma eroica dell’amore umano ma che si attesta, solo e soltanto, nella capacità di lasciarsi trasfigurare dall’amore divino, il solo a raggiungere le vette del perdono.

 

Si attesta in :

un sacerdote che saprà farsi piccolo, proprio come Maria e i semplici del Vangelo, capace di rendersi accogliente e disponibile alla Parola dell’Altissimo;

un sacerdote dal cuore semplice che non si ripieghi su se stesso alla ricerca delle proprie soddisfazioni e riconoscimenti ma tutto proteso verso l’oltre di Dio;

un sacerdote trasfigurato dalla carità di Dio.

 

L’inno alla carità che abbiamo appena ascoltato ci ha condotto a coglierne le sue meravigliose sfaccettature. In tal senso, essere sacerdote comporta una vocazione altissima a cui ogni presbitero è chiamato.

Divenire, come afferma Paolo nella 2 Corinzi 1,24 … collaboratori della vostra gioia ; ovvero saper collaborare alla gioia dei fratelli.

La vera gioia non viene dal farsi padroni delle persone che ci vengono affidate, ma divenendo servi del Vangelo per una comunità chiamata a scoprire i doni dello Spirito che già la abitano.

Aiutare una comunità a crescere nella carità, sapendola innestare nell’ascesi e nella preghiera e ai tanti impegni a favore dei fratelli, è compito di un cuore sacerdotale che:

  • sa coltivare la comunione con il Vescovo e i presbiteri tutti;
  • sa spendersi per tutti senza esclusioni e privilegi;
  • sa dare la vita per il suo gregge.

         Un sacerdote che sa custodire e accompagnare il gregge affidatogli  è, in altre parole, un sacerdote che nella sua intimità con Dio non può non far spazio ai volti e alle storie, alle situazioni e alle sofferenze, alle richieste e alle gioie che incontra quotidianamente sul suo cammino. Egli sarà un sacerdote che saprà trovare il centro unificatore del suo agire pastorale mediante un discernimento profondo, senza disperdersi nei rivoli di mille attività, sapendo essere attento non alla massa, alla folla, ma a ciascuna delle sue pecore.

 

Chiudo facendo mia una bella preghiera di don Tonino Bello, sacerdote e vescovo, innamorato di Cristo, dei poveri e della gente, che dedico a te caro don Giuseppe:

 

Spirito del Signore, dono del Risorto agli apostoli del cenacolo, 
gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri. 
Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. 
Rendili innamorati della terra, e capaci di misericordia per tutte le sue debolezze. 
Confortali con la gratitudine della gente e con l’olio della comunione fraterna. 
Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro.
Liberali dalla paura di non farcela più. 

Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. 
Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza. 
Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano. 
Fa’ risplendere di gioia i loro corpi. 
Rivestili di abiti nuziali. E cingili con cinture di luce. 
Perché, per essi e per tutti, lo sposo non tarderà.      

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