La Messa in “Coena Domini” del Giovedì Santo apre il Triduo Pasquale. L’Omelia di Mons. Satriano

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“Tu non mi laverai i piedi in eterno!”.

        È l’ultimo grido disperato dell’orgoglio umano che si para dinanzi all’amore.

        È il tentativo di rendere impenetrabile il cuore ad una logica destabilizzante che è quella che scaturisce dall’Amore nuziale del Cristo.

        È la ricerca di resistere a chi ci vuole strappare da noi stessi per consegnarci alla gioia di una vita piena.

        A questa lapidaria affermazione di Pietro, Gesù è altrettanto risoluto:

“Se non ti laverò, non avrai parte con me”.

        Non è un ricatto ma il segnare il limite oltre cui non possiamo spingerci con il nostro delirio di onnipotenza.

        Gesù rimarca qualcosa più volte annunciato e al quale ha tentato di educare i suoi discepoli, i suoi ascoltatori.

        Egli ci chiama a non possedere piccole unità di misura della felicità, per lasciarci condurre verso orizzonti di vita solcati dalla luce, dalla grazia, dalla gioia.

        La vera misura dell’amore e amare senza misura ma per giungere a questo dobbiamo imparare a lasciarci amare.

        Qualche giorno prima della sua passione, Gesù aveva dimostrato in Betania, dinanzi alla sorella di Lazzaro, Maria, la sua capacità di lasciarsi amare esclamando a Giuda: “Lasciala fare!”.

        Il Maestro si era compiaciuto di un gesto smodato di amore, sgorgato dal cuore di Maria che, su i suoi piedi, aveva versato 300 grammi di puro nardo, profumo preziosissimo.

        La lezione però non sembra essere servita e, nonostante tutto, Pietro si ritrova con il proprio prorompente orgoglio a erigere un muro di autosufficienza dinanzi all’Amore.

        Quanta somiglianza con i nostri cuori incapaci di cogliere la bellezza, la stupenda grandiosità di quanto ci accade ogni volta che celebriamo l’eucaristia.

        Anche per noi risuonano le parole di Gesù:

“Capite quello che ho fatto per voi?”

A questa domanda dovremmo rispondere con sincerità: “No!”

        No! Perché non ci lasciamo toccare dal tuo amore, abbiamo la pretesa di capire tutto ma nel cuore abbiamo sempre l’idea di un Dio lontano e non di un Dio che ha sposato la nostra carne, la nostra umanità e che si è fatto servo della mia infermità.

        No! Perché ci dimeniamo nell’idea di bastare a noi stessi e non stendiamo mendicanti la mano, cercando quella dell’altro, la tua, consapevoli del bisogno d’amore che ci attanaglia.

        No! Perché siamo resi ottusi, anche noi come Pietro, da un orgoglio stupido che ci fa erigere muri, barriere, steccati, giudizi e pregiudizi, verso tutti, anche verso Te che sei Dio.

        “Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”

        Ecco la strada: … anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri!

        La strada è quella di divenire come il Maestro…ministri, persone che hanno la capacità d’inchinarsi dinanzi ai piedi dell’altro, che sanno spogliarsi del proprio sè. Il Papa, in questi ultimi giorni, ha obbedito a questo comando, chiedendo il dono della pace ai potenti della guerra del Sud Sudan, si è poi inchinato dinanzi a loro e gli ha baciato i piedi … e noi?

        Oggi celebriamo l’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della “nuova ed eterna alleanza” tra Dio e l’uomo.

        Questo è certamente l’aspetto più evidente della celebrazione odierna, che vive un richiamo storico e figurativo dell’avvenimento compiuto nell’ultima cena. Ma ci sono altri due aspetti del mistero di questo giorno che all’eucaristia lega: l’istituzione del sacerdozio e il servizio fraterno della carità.

        Entrare nel mistero grande dell’Eucaristia è percepirne la sua forza pasquale che sta proprio nella capacità di morire a noi stessi, realizzando una unione sponsale, ricca di amore tenero e misericordioso, verso coloro che ci sono accanto e sono tra i più fragili e poveri tra noi. Offrire la vita per gli altri, spezzando la propria esistenza per le persone affidateci dalla vita, è la maniera più autentica per incarnare il sacerdozio di Cristo.

         Solo così possiamo attestare un amore in uscita, la carità, capace di rendere l’esistenza di ciascuno opportunità di speranza.

        La Vergine Achiropita, ci guidi a percepire il mistero di così grande amore; ci aiuti a entrare in questo passaggio dal mio io al mio Dio, dall’amore per me stesso all’amore per gli altri, dalla morte alla vita, perché sia Pasqua nel cuore e la gioia dilaghi.

                                       Così sia!

                                                  + don Giuseppe

                                                      Arcivescovo

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