INIZIO DEL MINISTERO PASTORALE DI MONS. SATRIANO – OMELIA

At 22,3-16; Sal 116; Ef 4,1-7.11-13; Mc 16, 15-18)

Il nostro aiuto è nel nome del Signore

Egli ha fatto cielo e terra!

            È con cuore trepidante, colmo di stupore, che desidero rivolgervi questo pensiero di riflessione, nella prima celebrazione eucaristica del ministero episcopale affidatomi dal Buon Pastore, attraverso Papa Francesco, per accompagnare e custodire la “nostra” amata Chiesa di Bari-Bitonto. Al Santo Padre va, in questo momento, il nostro affettuoso e orante ricordo per il suo servizio di pastore e guida della Chiesa universale.

            Il giorno scelto, ricco di significati, è illuminato dalla testimonianza dell’Apostolo Paolo e dalla conclusione della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani.

            Nel contesto sofferto della pandemia, siamo chiamati a vivere un giorno di grazia, gravido di attese. Esso si pone nel solco di un cammino significativo, segnato dal ministero pastorale di arcivescovi, grandi nel cuore e nella fede, ricchi di elevato spessore quali: il Cardinale Marcello Mimmi, pastore attento e vicino ai poveri; Mons. Enrico Nicodemo, vescovo di grande cultura e saggezza pastorale, che seppe infondere la grazia e la freschezza del Concilio in questa Chiesa; il Cardinale Anastasio Ballestrero, padre capace di ascolto, che nella sua breve permanenza, seppe accogliere e orientare a quell’esercizio della corresponsabilità, vissuto prezioso e imprescindibile per un autentico cammino ecclesiale; Mons. Mariano Magrassi, maestro di spiritualità e di liturgia, che si rivelò attento ai problemi sociali emergenti, divenendo guida sicura nel cammino della comunione; e per concludere il nostro amato Mons. Francesco Cacucci, sapiente tessitore di un cammino pastorale che nella mistagogia ha trovato la sua chiave interpretativa. Egli è stato protagonista di pagine indelebili nella storia di questa Chiesa e della città di Bari. Con la sua regia discreta si sono scritti passaggi significativi nel cammino del dialogo ecumenico, sino a giungere alle indimenticabili giornate dello scorso febbraio, tempo profumato di un futuro di luce, vera seminagione di speranza per le Chiese del Mediterraneo e non solo.

            Oggi tutto rifulge e si apre all’inedito di Dio, che si esprime nell’arrivo di un piccolo uomo, chiamato ad essere vostro pastore, forte solo del desiderio di onorare l’impegno affidatogli nella totale consapevolezza di fede che … il suo aiuto è nel nome del Signore.

            La Parola, proclamata in questa liturgia, diviene luce ai nostri passi e sorgente di speranza. Essa ci offre coordinate preziose per imbastire un ordito esistenziale che sappia intercettare la trama del progetto di Dio, realizzando quel tessuto, quella testimonianza di vita, che ci rende discepoli del Signore.

C’è un sogno di Chiesa nella Parola proclamata stasera.

            Da quanto ascoltato, emerge centrale l’incontro con Gesù Cristo.

Traggo tre passaggi che avverto significativi per il cammino che ci attende.

  • L’incontro con Gesù, l’Amore che salva;
  • La conversione ad una vita nuova;
  • Il divenire artigiani di comunione e di unità.

            Marco, nel narrare l’apparizione del Risorto ai discepoli, consegna l’urgenza missionaria di un annuncio che diventi incontro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15).

            Andare, proclamare il Vangelo e battezzare sono i tre verbi che rendono possibile l’incontro con il Risorto. Il mondo è l’orizzonte da solcare, sapendo uscire da quella dimensione rassicurante del vivere e accettando la logica precaria della strada, del cammino.

            Il Vangelo da proclamare è quello dell’Amore di Dio, che in Cristo Gesù si è fatto carne e desidera abbracciare ogni esistenza, ogni dimensione del vivere, per riscattare la dignità di ciascuno dalle tenebre del peccato.

            Anche Paolo, nella prima lettura, narra il suo incontro col Cristo e ci aiuta a meglio comprendere quanto appena meditato.

            Nella narrazione che ci consegna il libro degli Atti, egli appare fiero del suo radicamento nell’ebraismo, ma anche consapevole dell’arroganza e del limite che lo abita. Una consapevolezza salvifica che nasce proprio dall’incontro con la luce del Risorto.

            È qui il senso reale della conversione di San Paolo, che lungi dall’essere un atto eroico, uno sforzo della volontà, è l’incontro con l’Amore di Dio che lo libera da sé stesso, dalle sue strutture teologiche, ricche di certezze, ma povere di bene.

            Paolo si converte a partire dal suo fallimento. A noi viene consegnato un messaggio di speranza: l’incontro col Cristo non è precluso a nessuno, non ai pagani e neanche a un nemico, a un persecutore come Paolo.

È interessante come tale incontro avvenga senza mediazione umana. Gesù gli si rivela in maniera immediata, proprio a lui che lo meritava meno di tutti. Per Luca, autore degli Atti, non esistono avversari che restino tali per sempre.

            Paolo non si converte ad un nuovo credo ma ha capito che Gesù è il Figlio di Dio, il Messia che salva. Il suo cadere, il non riuscire a vedere e l’ascolto della voce che risuona nel cuore: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”, ci conducono a comprendere come solo nell’incontro col Cristo si consuma il nostro cambiamento di vita.

            Paolo avverte il fallimento, evidenziato dal suo cadere, mentre, investito dalla luce del Risorto, comprende come proprio quel Gesù, che sta combattendo, sia l’unica possibilità di salvezza. A Lui si aggrappa con due domande, che sono i vagiti di una nuova esistenza: “Chi sei, o Signore?”, “Che devo fare, Signore?”. Sono due domande che aprono a una nuova vita, non più autoreferenziale, bensì proiettata a far propria la volontà di Dio.

            Ecco miei cari, anche per noi questi primi due passaggi sono fondamentali, se desideriamo continuare a camminare, realizzando quel sogno di Chiesa caro al Cuore di Cristo.

            Solo se la nostra fede nel nome di Gesù sarà vera, autentica, libera da quelle che sono le impalcature culturali, i pregiudizi e i legacci di stili di vita spesso rattrappiti, potremo con cuore sincero fare nostre le domande di Paolo e interloquire col Risorto, sapendo accogliere la novità di vita a cui il Vangelo ci chiama.

            Vengo così al terzo passaggio che la Parola ci offre: divenire artigiani di comunione e costruttori di unità.

            Quanto accade a Paolo è singolare. Mentre è a terra, cieco, Gesù si rivela a Lui con chiarezza: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. Emerge la profonda identificazione di Gesù con la sua Comunità.

            È proprio a questa Comunità di credenti che Paolo viene rimandato dal Risorto, per portare a compimento il suo percorso. Anania sarà l’accompagnatore che lo condurrà a ritrovare la vista. Due individualità, quella di Paolo e Anania, che s’incontrano. Entrambi sono fruitori di una rivelazione del Cristo. Essi vengono a costituire un tessuto ecclesiale che, nella fiducia e nell’accompagnamento, si nutre e cresce. L’uno si specchia nell’esperienza dell’altro, l’uno diviene luce per l’altro.

            La fede si manifesta allora non solo come dono scaturito dall’incontro con il Risorto, ma anche come esperienza comunitaria, nella quale l’alterità diviene elemento imprescindibile per la maturazione del proprio cammino. Anania riconosce la presenza di uno spirito profetico in Paolo e lo conduce al battesimo, inserendolo nella Comunità dei credenti, dove si attesterà per il suo generoso ministero apostolico.

            Quando la Comunità cristiana è capace di vincere la paura dell’altro e di fare un gesto di gratuità verso il nemico, l’azione del Signore può rendersi presente.

            “Saulo, fratello, torna a vedere”, esclama Anania. Il nemico diviene fratello e il dono di Dio si espande nella vita di Saulo e della Chiesa. Certamente Anania non ha salvato la vita di Saulo, poiché solo il Signore può toccare il cuore dell’uomo, ma ha permesso al dono di Dio di dispiegarsi.

            Anche la Lettera agli Efesini, poc’anzi proclamata, è l’attestazione del cammino fatto da Paolo che da intransigente fariseo persecutore della Chiesa, ne diviene un promotore indomito, giungendo a evidenziare quanto sia importante “edificare il corpo di Cristo”, “conservando l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.

            Le diversità di ministero, di temperamento e di cammino presenti nella Chiesa, non sono mai l’occasione per mettere in discussione la bontà e la solidità del Vangelo. Esse, invece, sono opportunità per recuperare continuamente il senso ultimo di ogni “dono di Cristo”, che crediamo di aver ricevuto.

            Nessuno, nella comunità ecclesiale, è mai chiamato a differenziarsi o a sentirsi estraneo agli altri, ma ciascuno è chiamato a “edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio”.

            Umiltà, dolcezza, magnanimità, capacità di sopportare con amore gli uni i pesi degli altri, sono gli atteggiamenti e lo stile di vita con cui si diviene artigiani di comunione e costruttori di unità.

            Miei cari la Parola risuonata fa vibrare la vita e nuovamente ci consacra, attraverso questa liturgia, ad essere artigiani di comunione e costruttori di unità.

            Il ritrovarci insieme, intorno alla mensa del Signore, ci ripropone la sfida eucaristica, ovvero l’invito a prendere la forma del pane[1], lasciando che Cristo ci abiti mediante il dono della Parola e dell’Eucaristia.

            Lasciarsi abitare da Cristo per abitare la vita delle nostre realtà.

Si tratta di incarnare atteggiamenti che creino spazi ricchi di comunione e di condivisione tra le persone.

            Come discepoli del Cristo siamo invitati a edificare spazi eucaristici, spazi agapici, dove si realizzi un autentico incontro, ricco di comunione e condivisione, mediante atteggiamenti quali l’ascolto, il lasciare spazio, l’accogliere, l’accompagnare e il fare alleanza.

            Il “fate questo in memoria di me”, che tra poco risuonerà, al termine della consacrazione, è il chiaro invito ad assumere l’impegno di vivere come il Maestro, accolto nel segno del pane spezzato e del vino versato.

            Prego per voi tutti e con voi mi affido all’intercessione di Colei che ci indica la via, Maria Santissima, Madre amata e venerata da noi tutti con il titolo di Odegitria. Con fiducia, consegno la nostra Chiesa al patrocinio potente dei santi Nicola e Sabino, pastori esemplari e dal cuore ardente per Cristo.

            San Paolo, che ricordiamo e veneriamo in questo giorno, sostenga e fortifichi il nostro cammino ecclesiale, perché ciascuno possa, nell’incontro con Cristo, aprirsi al mistero di una vita piena della grazia e aperta ai fratelli.

A tutti auguro buon cammino e chiedo il dono della preghiera. Statemi vicino perché il Signore mi dia la forza di compiere il Bene e di farlo bene e in semplicità.

Dio benedica la nostra Chiesa di Bari-Bitonto e a ciascuno doni pace e salute.

            Il nostro aiuto è nel nome del Signore. Così sia.

RINGRAZIAMENTI

            Giunti a conclusione non posso far tacere il cuore ed esprimere la gratitudine che provo. Innanzitutto nei confronti della Misericordia del Signore che opera nella nostra vita nonostante le fragilità e le povertà che ci caratterizzano.

            Un saluto, grato e riconoscente va a S.E. Mons. Emil Paul Tscherrig, Nunzio Apostolico per l’Italia, per la paterna vicinanza con cui ha accompagnato questo tempo di preparazione.

            Un sentito e cordiale abbraccio fraterno ai Vescovi presenti e assenti della Puglia, che saluto nella persona del Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese, S.E. Mons. Donato Negro, la vostra vicinanza, ricca di affetto, mi sarà preziosa per il cammino.

            Un forte abbraccio lo riservo per i Vescovi della Conferenza Episcopale Calabra, che saluto nella persona del Vice Presidente, S.E. Franco Milito, con voi ho realizzato i primi passi da vescovo, ricchi della fiducia e della stima di ciascuno.   

            Un abbraccio denso di affetto a S.E. Mons. Rocco Talucci, la cui paterna vicinanza ho apprezzato negli anni del mio ministero presbiterale e che continuo a sperimentare.

Saluto e ringrazio per la Sua presenza gradita il Padre Abate di Noci P. Giustino Pege. Un cordiale saluto e ringraziamento al Rettore della Basilica di S. Nicola, P. Giovanni Distante, ai Reverendi Provinciali presenti, e ai Rettori dei Seminari di Posillipo e di Molfetta.

            Saluto con particolare fraternità e stima la delegazione ecumenica partecipe attraverso i Sacerdoti ortodossi delle Chiese Russa, Rumena, Georgiana ed Etiope e il Pastore delegato del Consiglio delle Chiese evangeliche di Bari. Un pensiero di grata riconoscenza a S. Em.za Rev.ma il Metropolita Hilarion, Presidente del Dipartimento per le Relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca e a S. Em.za Rev.ma il Metropolita eletto Polýkarpos, Arcivescovo Metropolita della Sacra Arcidiocesi di Italia ed Esarca dell’Europa meridionale, che hanno avuto la squisita cortesia di inviarmi il loro pregiato saluto accompagnato da attestazione di stima e comunione di intenti, nella corale venerazione di S. Nicola.

In tanti, da lontano, hanno manifestato vicinanza a questo momento ecclesiale; a tutti loro il mio sincero ringraziamento.

            Un deferente saluto, colmo di gratitudine, al Sig. Presidente della Giunta Regionale Pugliese, il Dott. Michele Emiliano, e a S.E. il Prefetto di Bari, la Dr.ssa Antonella BELLOMO, per averci onorato con la Loro presenza. Saluto, altresì, i Sindaci di Bari, di Bitonto e di Corigliano-Rossano, qui presenti a nome di tutti i sindaci del territorio delle due Arcidiocesi. La vostra presenza, unita a quella delle massime Autorità Civili e Militari intervenute, conferisce lustro a questa nostra assemblea. So come e quanto è preziosa e feconda la sintonia esistente tra le varie Istituzioni in questa Regione. Personalmente, mi inserisco volentieri in questo solco di reciproca collaborazione, per promuovere, insieme, quel bene comune che è il fine ultimo del nostro servizio alla Società.

            Permettetemi di rivolgere un affettuoso saluto alla Comunità Ecclesiale di Rossano-Cariati, qui rappresentata da 20 persone, tra sacerdoti e laici, che con filiale vicinanza ha accolto la notizia della separazione, disponendosi ad accompagnarmi in questo viaggio non semplice per loro. Mi avete aiutato a crescere come uomo e pastore. Vi voglio bene dal profondo del cuore e ve ne vorrò sempre.

            Ed ora mi rivolgo a voi Chiesa già amata di Bari-Bitonto. Saluto tutti, soprattutto quanti ci seguono da casa per l’opera preziosa e sempre disponibile dell’emittente televisiva Telenorba, che ringrazio di cuore, insieme ai Sacerdoti e ai Laici che si sono adoperati per la realizzazione di questo momento.

            Vorrei salutarvi e abbracciarvi tutti attraverso la persona di S.E. Mons. Francesco Cacucci, a cui rivolgo sentimenti di sincera gratitudine per la squisita gentilezza con cui ha vissuto e accompagnato questi giorni di preparazione all’inizio del mio ministero, giungendo a consegnarmi il suo pastorale, segno luminoso di continuità e di fraternità.

            Le sue parole, profondamente segnate da amore alla Chiesa, mi aiutano a guardare avanti con fiducia, riprendendo a camminare nella gratitudine verso un passato che è sempre da riscoprire, come benedizione e luce per il presente. Grazie per i suoi anni spesi con generosità a servizio di questo popolo, di questa porzione di Chiesa, a me già molto cara.

            A voi presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, popolo tutto di Dio l’esortazione accorata a rimetterci in cammino, continuando a vivere quell’esodo che ci porta dalla terra del nostro IO agli orizzonti di DIO.

            Come ci dicevamo nel pensiero omiletico, lasciamoci trasformare dall’Amore, quell’Amore proclamato e celebrato.

Nel segno del pane, spezzato e condiviso, la vita rinasca come canto di fraternità. Abitati dallo Spirito, prendiamo la forma del pane, per essere nel mondo artigiani di comunione, seminatori di speranza.

            Mi rivolgo in particolare a voi presbiteri, miei primi collaboratori, che saluto con particolare affetto e simpatia, statemi accanto e sostenetemi nell’impegno preso. Vi apprezzo e vi stimo per il delicato lavoro che siete chiamati ad affrontare in questo periodo particolarmente complesso. Con i tempi necessari desidero incontrare il vostro cuore e i sogni che portate con voi.

            Per tutti e ciascuno è tempo di condivisione, è tempo di abbandonare ogni ritrosia, ogni paura e metterci alla scuola di Gesù, è tempo di diventare pane per il mondo.

            Al termine della celebrazione desidero consegnarvi un segno che dica l’orizzonte, l’impegno, la responsabilità del nostro camminare: un semplice pezzo di pane accompagnato da un’immagine del Crocefisso.

            Un pezzo di pane da mettere sulle nostre tavole, da condividere, che dica la bellezza e la semplicità della nostra storia, della nostra terra, della nostra esistenza. Essa, trasfigurata dal dono dell’Eucaristia appena celebrata, è chiamata a divenire pane spezzato per il mondo.

            Il piccolo pezzo di pane che vi verrà consegnato, portatelo nella vostra casa, beneditelo con una preghiera, condividetelo e donatelo.

            Sarà il gesto del condividere a benedire la vostra vita e la vita di chi riceverà questo segno di speranza.

Tale segno lo vivremo, di volta in volta, in tutte le comunità quando verrò a visitarvi. Mi piace questa sera ringraziare l’Associazione “Fornai pane in piazza” che ha reso possibile la realizzazione di questo segno.

            Vi stringo tutti forte al cuore, in particolare quanti sono nella sofferenza e nella fatica del vivere. Beneditemi con la vostra preghiera e buon cammino.


[1] Cf. S. Agostino Serm.227,1:PL 38,1100e.

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