Buon Natale… anche tu sei mio fratello!

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Figli carissimi e figlie carissime,

con l’arrivo del Natale, il nostro essere credenti viene ancora una volta interpellato e rischiarato dal mistero di questo bimbo, figlio di Dio e dell’uomo, che attraversando la storia viene posto tra le nostre mani.

            In questo Natale, non possiamo dimenticare la sofferenza di chi ha perso tutto, come i nostri fratelli terremotati o coloro che, a causa dell’odio fratricida, sono in fuga dalla guerra o vengono perseguitati a causa del proprio credo religioso, vedi i nostri fratelli copti morti in Egitto.

            Pensare al Natale non sempre ci porta a contemplare la vita reale di tanti, ma veniamo deviati su pensieri più effimeri e banali.

Del Natale, purtroppo, è rimasta solo la scorza, logora di immagini che scorrono in maniera ossessiva e che pervadono la vita di ogni giorno, attraverso la pubblicità del momento.

            All’ombra di un illuminato albero di natale o di un patinato presepe, come di una finta convivialità familiare, ci viene propinata ogni cosa. Dal gioco d’azzardo “legalizzato”, all’acquisto sfrenato di beni di consumo, tutto condito con messaggi di ambigua fattura, tesi a soggiogare il “narciso” che si nasconde in ciascuno di noi.

Non possiamo meravigliarci se poi, fuori dalle nostre case, nel silenzio di tutti, si ripetono e s’incrementano indifferenza e solitudine, arrivismo e violenza, malaffare e corruzione, lavoro nero e sfruttamento, schiavitù e abusi di ogni genere.

Siamo troppo occupati a pensare a noi stessi per cui ci sfugge la vita, la relazione, il rispetto dell’altro, il valore di ciò che ciascuno di noi è ed è chiamato ad essere.

            Scambiamo per amore quello che è solo ricerca nevrotica del proprio sé, perdendo la consapevolezza di un Amore grande che ci ha salvato dal baratro, dalla morte e ci ha restituito la vita e l’altro come fratello.

            Quanto dolore, fatica, disperazione si consuma dietro l’uscio di molte abitazioni a noi familiari. Respiriamo miasmi di morte mentre la vita viene ferita, calpestata, annientata.

Come afferma il Papa nell’Evangelii Gaudium: “Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo” (n° 87).

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra… lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. (Lc 2, 1.7b)

            L’Incarnazione di Gesù, Figlio di Dio e nostro fratello, pone una discriminante chiara alla storia di ieri e di oggi.

All’autoesaltazione di Augusto, imperatore romano, mediante il censimento di tutta la terra, si contrappone lo stile del Natale. Quella di Gesù appare come una nascita tra le tante ma senza il tepore di una casa e nel rifiuto di tutti … alla fine viene posto in una mangiatoia. 

            Saremmo portati a dire: che tristezza!

            E invece è stato quello il momento sorgivo della storia. Nessuna dichiarazione di onnipotenza, solo fragilità e debolezza, povertà e semplicità, a sigillare un amore totale e univoco verso l’uomo e, soprattutto, verso il povero, il fragile, l’emarginato.

            L’Anno Santo della Misericordia, appena trascorso, ha segnato la ripresa del cammino di fede per tanti, riconsegnandoci la consapevolezza che la salvezza di ciascun uomo è la realtà più importante per Dio Padre. Contemplare il Bambino di Betlemme ci riconduce alle braccia misericordiose del Padre, poveri, con i nostri limiti e le nostre miserie, ma ricchi e certi del Suo amore.

“E il Verbo si è fatto carne” (Gv1,14 )…

… così l’Amore diviene carne e l’altro fratello.

            Da questo momento di grazia, che è il Natale, scaturisce la cultura del dono: Dio condivide la sua vita con la mia e ciascuno è chiamato a fare della propria vita un dono per gli altri.

            Un cantautore dei nostri giorni scrive in una sua canzone: “La vita è un dono, che va vissuto, condiviso e restituito”.

Parole forti che, alla luce del Vangelo e del Natale, trovano come declinazione luminosa la fraternità, ovvero quella possibilità di fare della propria vita un dono condiviso e non un’indebita appropriazione di noi stessi e di quanto ci circonda.

            Fraternità è il sentiero che ci porta ad accogliere l’altro nella sua similarità, diversità e complementarietà rispetto a noi, rinunciando ad una logica  intessuta di concupiscenza, di competizione e sapendo rinsaldare quella del dono.

            Spesso pensiamo che la causa di certi disagi sia il fratello, dimenticando che questo fratello, dono di Dio per la nostra vita è lo specchio in cui possiamo percepirci per quello che realmente siamo.

            È nel “noi”, nell’ospitalità dell’altro, che il soggetto dando riceve, condividendo si arricchisce, e perdendosi ritrova sé stesso. Ogni chiusura nell’io scade inesorabilmente in un atto rivendicativo e rende sterile ogni relazione. Siamo chiamati a superare il livello puramente emotivo della percezione dell’altro, per assumere l’atteggiamento di apertura reale verso chi è diverso da noi.

            Tutto questo ci porta a denunciare con forza quanto, ancora oggi, nella nostra terra di Calabria, non risponde ad una logica evangelica che vede il fratello accolto e amato per quello che è.

            Mi riferisco alle varie forme di sfruttamento a cui, per un pezzo di pane, tanti nostri conterranei, insieme a diversi immigrati, si sottomettono,  vivendo situazioni disumane.  Penso alla piaga del caporalato, troppo presente nelle nostre contrade, ad una certa politica,  litigiosa e rinunciataria, spesso imbrigliata in giochi di palazzo,  incapace di percorrere con coraggio la strada del bene comune e del rispetto della dignità della persona.

Dovremmo riflettere di più sull’accoglienza dei fratelli immigrati,  su cui si specula da tutte le parti,  assumendo facili alibi per negare legittime forme di ospitalità.

            Le sofferenze di tanti non possono lasciarci indifferenti. Il Natale smaschera ogni forma d’ipocrisia e denuncia l’amore di un Dio che ha scelto di farsi povero della nostra povertà.

            Carissimi,

possa il Natale, oltre a portare pace e gioia per tutti, donarci una sana inquietudine, capace di destarci dal sonno, per imparare a restare umani.

            Aprendo gli occhi sulle nostre realtà, povere di speranza, facciamo crescere il senso di fraternità delle comunità in cui viviamo.

Comunità ecclesiali, civiche, aggregazioni  di vario genere, tutti siamo chiamati a porci in uno stato di prossimità, gli uni accanto agli altri. Solo così sapremo ridare vita alla quotidianità e nutrire il futuro di luce.

            Nella Evangelii Gaudium il Papa afferma con forza: “il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo” (n° 88).

            Auguri di vero cuore a tutti voi e, in particolare, a chi sta lottando con il dolore,  ai carcerati e a quanti non smettono di sperare nonostante la fatica del vivere. Buon Natale e che Dio benedica le vostre famiglie.

 

Il vostro Vescovo

+ don Giuseppe

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