Veglia Pasquale – Omelia dell’Arcivescovo

IMG_8571 copiaVeglia Pasquale 2016

Omelia dell’Arcivescovo

 

La liturgia della parola, che abbiamo vissuto, ci ha permesso di percorrere tutta la storia della salvezza, dalla creazione dell’umanità fino all’umanizzazione di Dio in Gesù Cristo.

Il Creatore ha voluto essere creatura tra le creature, ha voluto essere carne, corpo, per poterci dire – nel linguaggio che noi comprendiamo – che egli ci ama, e ci ama nell’amore umano, quell’amore con il quale possiamo amare gli altri.

 

Può risultare strano enfatizzare la Risurrezione di Gesù poiché non troviamo il racconto di un evento dagli effetti speciali, ma solo un semplice segno: un’assenza, un vuoto, un sepolcro aperto. Paura, timore, precedono l’impatto con la parola degli angeli: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”

 

Maria di Magdala e le altre donne, del Vangelo di Luca, tornano a raccontare quanto hanno visto e sentito ma non vengono credute: i conti non tornano, il corpo di Gesù non è più lì? Non può essere vero, chiacchere di donne!

 

La nostra avventura di risorti, di salvati, inizia così dinanzi ad un vuoto che interpella e che scuote, potremmo dire che destabilizza. È l’esperienza della vita che facciamo ancora oggi quando non troviamo il Signore lì dove immaginiamo che sia.

 

Tre passaggi vorrei suggerirvi.

  1. La Pasqua come realtà che destabilizza la vita.
  2. La Pasqua guarigione del “noi”.
  3. La Pasqua realtà che ci fa vivere “a braccia aperte”

 

  1. La Pasqua come realtà che destabilizza la vita.

 

La risurrezione, direi, è soprattutto questo lasciarsi destabilizzare nel prevedibile, nel consueto, nello scontato.

 

Fare esperienza del Risorto è innanzitutto lasciarsi sorprendere; è disponibilità allo stupore; è imparare a sovvertire le coordinate della vita. Lo impareranno con fatica i discepoli e siamo chiamati a viverlo anche noi.

 

C’è un appello nella Pasqua, una vocazione a incontrare Dio che fa nuove tutte le cose, capace di farti cogliere la bellezza di un’alterità, che vive dentro di te e intorno a te, e che diviene la forza sanante della tua vita.

 

  • trionfalismo della religione;
  • assolutizzazione del potere politico;
  • segregazione dell’impuro, del diverso;
  • annientamento e isolamento del povero.

 

Per cui, mentre sulla croce si attesta la disponibilità del Figlio a vivere un percorso radicale nell’amore, sigillato dalle parole: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”; nella Risurrezione viene rimarginata la ferita interiore.

 

Lo Spirito che il Padre dona alla carne del Figlio, ridandole vita e trasfigurandola, porta pienezza, pace e gioia.

 

  1. La Pasqua guarigione del “noi”.

 

Parlare di risurrezione è parlare di “guarigione”.

 

Può sembrare non adeguato ma è così, con la sua passione, croce e risurrezione Gesù risana quell’antica ferita che è il peccato.

È il peccato ad aver ribaltato la bellezza della vita, del “noi”, frantumandolo nell’io e tenendolo lontano da Dio.

 

È questa la ferita da cui la Pasqua ci risana, ricollocando la vita, attraverso un cammino di morte e di rinascita, nell’orizzonte di Dio.

 

Gesù che accetta liberamente il destino di un amore forte e radicato nel “noi”, un amore grande verso il Padre e verso il fratello, non poteva non andare incontro al rifiuto di un mondo assestato solo sull’io, un io che oggi come ieri è:

 

 

Il Risorto è il Crocifisso!

 

Trasfigurato dall’amore, Egli trasfonde alla storia di ogni individuo, frantumato nel peccato, la possibilità di aprire la vita alla capacità di ricostruire il “noi” che salva.

Quel “noi” che è comunione col Padre e col fratello, comunione che libera e risana ogni dimensione dell’esistenza.

 

È bello e significativo il gesto che Gesù compie spesso dopo la risurrezione, mostrando nelle sue apparizioni le ferite delle mani e dei piedi, quasi a convincerci che se vogliamo capire e guarire, dobbiamo partire da quei buchi, da quei vuoti evocanti le nostre limitatezze esistenziali.

 

È interessante cogliere cosa facciamo noi con le nostre escoriazioni o ferite: le nascondiamo, le occultiamo bendandole, le mascheriamo.

 

Gesù Risorto le mostra, le ostenta, affermando che la risurrezione di ciascuno prende vita a partire dal considerarci vulnerabili, comprendendo che siamo creature e non Dio.

 

 

  1. La Pasqua realtà che ci fa vivere “a braccia aperte”

 

Quelle ferite da cui sgorga la luce del Risorto, ci conducono nella pace a riconoscere che niente e nessuno può essere “tutto” per noi: né io, né l’altro, né tantomeno le cose.

 

Vivere la Risurrezione, fare Pasqua è possibile solo se ci lasciamo attraversare il cuore dal suo amore, comprendendo che i nostri vuoti, le nostre ferite, i nostri peccati sono abitati dalla sua infinita misericordia. È Lui la nostra salvezza, il nostro tutto, direbbe San Francesco d’Assisi.

Questo ci permette di leggere la storia, il mondo, con gli occhi del Risorto, proiettandoci verso gli altri con il suo amore, con compassione, avendone cura.

La sua redenzione – afferma Papa Francesco – ha un significato sociale perché Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini. (EG 178)

Nasce dalla Pasqua del Signore, un chiaro appello a vivere a braccia aperte, con tutto il cuore, le nostre relazioni e l’attenzione per l’altro.

Mi piace concludere con questa immagine di Isaia, che bene mi sembra definire la condizione di risorti a cui il Signore ci invita con la sua risurrezione:

 

Se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio, … sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono” Is 58,10-11

Buona Pasqua!

condividi su